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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2014 alle ore 13:39.

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Il dibattito sulle "pensioni elevate" ha fatto emergere una scarsa conoscenza del sistema pensionistico italiano, della sua storia, del suo funzionamento e un'incredibile confusione sugli obiettivi da raggiungere. Si è ignorato il principale problema di oggi: la sostenibilità sociale futura e la rottura del patto generazionale tra vecchi e giovani, tra pensionati e pensionandi. Sia il sistema retributivo, sia quello contributivo, sono sistemi a ripartizione, dove i lavoratori con i contributi pagano le pensioni in essere. Il patto implicito è che l'importo delle pensioni future non si discosti molto da quelle attuali, altrimenti sarebbe iniquo.

Le riforme passate hanno sensibilmente ridotto le aspettative pensionistiche, in termini di importo mensile goduto nella vita residua. L'attuale situazione del mercato del lavoro avrà effetti rilevanti per la precarietà contributiva, per le retribuzioni più basse, per l'andamento del Pil a cui è legata la rivalutazione dei contributi. Far gravare la spesa pensionistica su coloro che hanno prospettive pensionistiche molto modeste appare poco equo e a rischio rifiuto. Ma allora, un dibattito sulle pensioni elevate non può prescindere dalla necessità di affrontare il tema delle pensioni future - come renderle simili a quelle attuali. La discussione ha suggerito un ipotetico prelievo sulla differenza tra pensione retributiva e contributiva (ricalcolo della pensione con il sistema contributivo), qualificando la differenza come un regalo "indebito". Tutto legittimo, siamo d'accordo! A patto però che si ricordi che chi è andato in pensione con il sistema retributivo lo ha fatto in base alle leggi esistenti e, quando non costretto ad andare in pensione per espulsione dal mercato del lavoro, in base al valore della pensione attesa. Mentre la legge Dini prevedeva la possibilità di opzione per il contributivo, dal 2001 questa possibilità è stata eliminata per chi era nel retributivo.

Boeri, F. e S. Patriarca hanno provato a calcolare la differenza tra importo delle pensioni retributive in essere e il possibile importo delle stesse, se ricalcolate con il sistema contributivo, per le pensioni Inps ai privati erogate tra il 2008 e il 2012. La differenza tra i due profili è risultata pari al 28%: quindi, di 12 miliardi di spesa pensionistica effettiva, 3,5 mld sarebbero indebiti. Hanno poi esteso il calcolo a buona parte della spesa pensionistica, compresi pubblici e autonomi, e per le pensioni sopra i 2.000 euro stimano un "indebito" di 16,7 miliardi su di un ammontare di 67,8 mld. Da questa base applicando un contributo crescente ipotizzano di ricavare risorse per 4,2 mld di euro.

Nelle stime si trascura di stimare il dato fiscale. Come è noto, ogni intervento di taglio o di aumento della spesa pensionistica va considerato al netto degli effetti fiscali, particolarmente rilevanti nel caso di pensioni sopra i 28.000 euro con aliquote marginali effettive del 41% e più. I 4,2 mld sarebbero ridotti a 2,5 effettivi, perché "il diavolo sta nei dettagli". Questa ipotesi presenta molti interrogativi, alcuni tecnici, altri di scelte di parametri non giustificate. Se applicata alla realtà, è necessario passare da ipotesi generiche di carriere retributive e contributive a carriere individuali effettive stabilendo cosa utilizzare o no, pena altrimenti il rischio di un contenzioso infinito: anni regalati, contributi figurativi, contributi di solidarietà, sottocontribuzioni come vanno considerati? Quali coefficienti di trasformazione considerare, quelli attuali o quelli da calcolare nei diversi anni di pensionamento? Altra piccola questione… occorre naturalmente avere a disposizione le storie contributive. Si hanno o è possibile averle in tempi brevi? Come è ormai noto, sicuramente no per il pubblico impiego. È incredibile l'affermazione fatta che l'Inpdap non avrebbe trasferito all'Inps i dati sulla storia contributiva del pubblico impiego per mantenere i privilegi pensionistici! Non sono stati trasferiti perché l'Inpdap non li ha! Quando si vogliono ottenere risorse rilevanti bisogna abbandonare il termine pensioni d'oro! Infatti, i 2,5 miliardi netti sono ottenuti applicando un contributo alle pensioni superiori a 2.000 euro lorde mensili, livelli di pensione che non possono essere certo qualificati come d'oro. Il contributo netto derivante dalle pensioni tra i 2.000 e i 3.000 euro sarebbe di 1,5 mld, quello derivante da pensioni tra 3.000 e 5.000 di 0,62 mld e quello per pensioni superiori a 5.000 euro, 0,32 mld. Si deve allora decidere se si vuole fare un intervento sulle pensioni d'oro o un intervento che produca un ammontare dato di risorse. Le due cose non coincidono, bisogna uscire dall'equivoco!

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