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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2014 alle ore 11:11.
L'ultima modifica è del 18 aprile 2014 alle ore 19:03.

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Anche Giorgio Armani finisce nelle fitte maglie del Fisco. Secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, lo stilista ha versato mercoledì all'amministrazione finanziaria un assegno di ben 270 milioni di euro. Il motivo? La transazione effettuata nel corso di una verifica della Guardia di Finanza su tre società estere facenti parte del gruppo sui periodi d'imposta fra il 2002 e il 2009.

In pratica, Armani - che controlla il 100% del gruppo da lui fondato quasi 40 anni fa, ma che da anni si affida per la gestione finanziaria e fiscale a un team manageriale - aveva costituito all'inizio degli anni Duemila una serie di società operative localizzate in diverse parti del mondo, così come hanno fatto altre aziende della moda e del lusso ad alto tasso di internazionalizzazione. Le società erano effettivamente operative, dotate di risorse e organici robusti, con l'obiettivo di cogliere le opportunità di mercato e il conseguente sviluppo.
Preliminarmente alla costituzione delle società, peraltro, la Giorgio Armani aveva attivato una procedura di interpello delle autorità fiscali nazionali, in un'ottica di trasparenza, al fine di ricevere una sorta di "approvazione" ex ante.
Nel 2009, con l'insediamento ai vertici del nuovo top management, tuttora in carica, la Armani ha cambiato strategia, preferendo concentrare in Italia la direzione strategica e il domicilio fiscale. A seguito di diverse acquisizioni, che miravano a integrare ulteriormente la filiera industriale e distributiva, è stato infatti semplificato il numero delle società, anche per rafforzare l'efficienza del gruppo, uno dei più importanti in Italia a livello dimensionale nel settore, in rampa di lancio per celebrare il quarantennale sui mercati internazionali.
Spulciando nella relazione al bilancio 2009 (si veda la scheda accanto), si scopre infatti che, in quell'anno, la Giorgio Armani Spa, nell'ambito della riorganizzazione del gruppo attuata dal nuovo management, incorporò una società controllata con sede in Svizzera (GA Modefine S.A.) che gestiva la commercializzazione estera dei prodotti del gruppo, trasferendone con ciò il domicilio fiscale e la tassazione del reddito nel nostro Paese. Nella Confederazione elvetica fu mantenuta una sede secondaria operativa a Mendrisio che, come risulta dal bilancio 2012, ultimo disponibile, risulta tuttora attiva.
Come mai, allora, è partita la verifica? Negli ultimi tempi, la nozione di residenza fiscale societaria è nel mirino delle Fiamme gialle e dell'agenzia delle Entrate e non è escluso che, grazie all'interpello preventivo di inizio Duemila, lo stilista di via Borgonuovo si sia in un certo senso cautelato rispetto ad ancora più pesanti richieste da parte dello Stato. Sembra, infatti, che nel quartier generale dello stilista siano stati apprezzati correttezza e preparazione della controparte, pur nelle ovvie differenze di opinione emerse nel corso della negoziazione.
Che il Gruppo si sentisse al riparo da un simile rischio fiscale è ben evidenziato negli ultimi bilanci: fino ai conti dell'esercizio 2012 (l'ultimo dato disponibile) sono inseriti soltanto «prudenti stanziamenti a fronte di rischi di natura fiscale». Per inciso, nel 2012 il gruppo ha pagato un'aliquota fiscale effettiva del 44,8% rispetto al 38,5% dell'anno precedente e del 28,5% nel 2010. Con questo accordo, che prevede come atto dovuto la segnalazione all'autorità giudiziaria, si chiude ogni contestazione fiscale sulle società estere del gruppo Armani.

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