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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2014 alle ore 17:03.
L'ultima modifica è del 27 giugno 2014 alle ore 21:02.

Secondo i consulenti del lavoro uno degli equivoci più diffusi in materia di lavoro a progetto è la rappresentazione di questo tipo di rapporto parasubordinato come "emblema del precariato". Esso rappresenta – si legge nel progetto di riforma presentato dalla Fondazione studi nel corso del Festival di Fiuggi - "un poco oculato tentativo di assimilazione della collaborazione (autonoma) a parametri e criteri tipici del lavoro subordinato", fra cui la determinazione della retribuzione minima e la disciplina della risoluzione volontaria del contratto introdotte rispettivamente dagli ex ministri del Lavoro Fornero e Giovannini con le leggi 92/12 e 99/13.
Com'è emerso nel corso di un tavolo scientifico tenutosi nel corso della manifestazione, i professioni suggeriscono allora di "affrancarsi" dal progetto e dai suoi limiti applicativi per fissare l'attenzione nei confronti del coordinamento, rilanciando la collaborazione coordinata e continuativa genuina, privilegiando il carattere delle "istruzioni" che il committente fornisce al collaboratore rispetto alle più cogenti direttive del datore di lavoro al dipendente.
L'obiettivo è dunque quello di eliminare radicalmente la disciplina del lavoro a progetto o, almeno, di cancellare selettivamente ogni richiamo al progetto dalla normativa vigente. La nuova disciplina, si aggiunge, dovrebbe rimettere al lavoratore l'onere della prova della subordinazione senza alcuna trasformazione automatica da parte del giudice, a cui spetterà qualificare il rapporto "per come si è svolto nella sua sostanza".
Nel corso del dibattito Giuseppe Santoro Passarelli, docente all'Università La Sapienza di Roma, ha ricordato la ratio che aveva a suo tempo portata all'istituzione della collaborazione coordinata e continuativa, "che serviva – ha spiegato - ad estendere il processo del lavoro a rapporti non subordinati in senso tecnico.
Questa normativa è stata poi travisata perché si è detto che queste cococo servivano a svolgere le stesse funzioni del lavoro subordinato costando meno (10%) e non comportando licenziamento". Nel nostro ordinamento, secondo Passarelli, la subordinazione è nozione elastica, mentre quella di cococo è più rigida, ma poiché i rapporti di forza sono diversi la coordinazione finisce per mascherare il più delle volte lavoro subordinato. "Ecco perché nel 2003 - ha continuato Passarelli - il legislatore ha introdotto il cosiddetto progetto: una soluzione furbesca, pensando che esso dovesse far emergere le collaborazioni genuine, rivelatasi però una foglia di fico che ha favorito un uso ancora più fraudolento delle subordinazioni". Il progetto è stato poi definito e rafforzato dalla legge 92/12, che ha cercato di dargli un significato autentico vietandone l'utilizzo nel caso di attività elementari ed esecutive e aumentandone, nel contempo, i costi sul fronte contributivo.
Pure in questo caso, tuttavia, facendo fatica a impedire il suo utilizzo in modo fraudolento. "Anche se nella legge 92 si fa cenno al vincolo della monocommittenza, dal mio punto di vista – ha concluso Passarelli - noi dobbiamo identificare e tutelare il lavoro autonomo genuino, ma debole, che vuole rimanere tale anche se costituito da tanti piccoli rapporti e senza un committente prevalente. Il criterio per identificare la dipendenza economica, dal mio punto di vista, dovrebbe essere quello del reddito dichiarato e dell'assenza di dipendenti".
Un plauso all'iniziativa dei consulenti del lavoro è arrivato da Michel Martone, insegnante alla Luiss "Guido Carli" di Roma, già viceministro del Lavoro nell'esecutivo Monti. "La proposta sui cocopro mi pare molto interessante - ha detto Martone -: nel mondo delle collaborazione coordinate e continuative devono essere apprezzate le posizioni di chi vuole restare autonomo". Secondo il docente la riforma Fornero è nata penalizzata "da un retaggio antico lì dove dice che il contratto subordinato a tempo indeterminato è quello "dominante", ponendo come base la declinazione nell'economia privata di quello che era il posto fisso del pubblico impiego". Un simbolo del cambiamento di rotta, per Martone, è stato dato dall'abolizione della causale nei contratti termine contenuta nella riforma Poletti, importante perché, preso atto dell'impossibilità di battagliare sull'articolo 18, ha scelto la via di fuga dell'eliminazione dei vincoli nel tempo determinato. "L'auspicio – ha concluso – è che non si cerchi di imbrigliare la realtà socioeconomica in schemi rigidi perché alla fine ciò che vince su tutto è il ragionamento economico".
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