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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2010 alle ore 08:07.
Il parallelo è immediato. Per l'evasione fiscale così come per le malattie non esiste un'unica cura. Antonio Pedone, docente di Scienza delle finanze alla Sapienza di Roma, mette in guardia dalle ricette salvifiche o dal puntare tutto e solo sull'ultimo strumento in ordine di tempo: «Ci sono tanti metodi di contrasto, ma in qualche modo vanno tutti migliorati». Anche perché l'Italia è un paese che sconta una serie di peculiarità.
Trent'anni fa lei ha pubblicato «Evasori e tartassati». Come mai è così difficile stimare il fenomeno? Bisognerebbe iniziare a contare chi fa parte delle due categorie. Probabilmente la maggior parte sta tra questi due. Del resto a chi non è mai capitato almeno una volta di pagare il conto al ristorante senza chiedere la fattura?
Il problema sta nella stima aggregata?
È necessario capire quanto evade ognuno e da questo consegue il fatto che non ci possa essere una ricetta unica.
Il numero degli adempimenti quanto pesa?
Un sistema semplificato non esiste da nessuna parte del mondo. Il nostro è più complicato degli altri. Ma questo dipende anche dalla struttura produttiva del paese: è costituita da piccole imprese o soggetti a cui è impossibile chiedere un accertamento sulla base di una contabilità analitica precisa.
Vari espedienti. Ma come vanno usati?
La storia italiana insegna che tutti vari meccanismi, come ad esempio gli studi di settore o il redditometro, se ben dosati possono permettere di guarire dalla malattia. Ad esempio, potrebbe tornare utile il catasto elettrico facendo un'analisi per comprendere cosa non ha funzioato e come impiegarlo.
Quindi lei non è d'accordo con chi chiede di superare gli studi di settore?
Non credo vadano abbandonati del tutto. Piuttosto va trovato un modo per apportare correzioni applicative e arrivare a risultati migliori anche se non definitivi. Non si può pensare che esista uno strumento che risolva tutto.