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La Spagna perde il massimo dei voti sul debito sovrano. Fitch toglie la tripla A

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 08:02.

MADRID - Una nuova doccia fredda si è abbattuta ieri sulle speranze della Spagna di recuperare in tempi brevi la fiducia dei mercati. Fitch ha infatti tagliato il rating da tripla A a AA+, con prospettiva stabile. Il giudizio dell'agenzia di rating internazionale, preoccupata per l'aumento del debito, la scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la modesta crescita economica, arriva circa un mese dopo quello di Standard & Poor's che aveva ridotto la nota, da AA+ a doppia A, ma con outlook negativo. Mentre Moody's continua a mantenere, almeno per il momento, la tripla A.

L'attenzione, come ovvio, è ora rivolta alla reazione della Borsa lunedì, ma anche ai prossimi collocamenti di bond del Tesoro e ai tassi che monitorano da vicino l'evoluzione del "rischio-paese". Ieri alcuni analisti hanno detto che la decisione di Fitch appare tardiva, specie dopo le ultime misure di austerity varate dal governo, ma che bisogna tenerne conto, perché un «atto d'accusa contro le lentezze del governo e l'efficacia delle misure adottate» e vedere quali effetti produrrà nei prossimi giorni. Come a dire che all'inizio di settimana c'è da attendersi per lo meno un certo nervosismo.
E pensare che ieri il governo, dopo aver rischiato due giorni fa una pesante bocciatura in Parlamento, in occasione dell'approvazione del piano straordinario di economie da 15 miliardi di euro, che si aggiunge a quello quadriennale da 50 miliardi del recente passato, aveva dato prova della sua volontà di imprimere una svolta al risanamento dei conti pubblici, proseguendo nella strada dell'austerità e fissando in un -7,7% il tetto di spesa della finanziaria 2011 rispetto a quello 2010.

È chiaro, dunque, che ci saranno sacrifici importanti per tutti (il budget dei ministeri dovrebbe ridursi attorno al 15%), pur di centrare l'obiettivo di contenimento del disavanzo pubblico al 3% nel 2013 (11,2% nel 2009), come concordato con i partner europei. E che il prezzo da pagare non sarà marginale: da un lato, infatti, il governo ha tagliato la previsione di crescita economica per i prossimi 3 anni e dall'altra ha aumentato le proiezioni della curva della disoccupazione, rispetto a quanto fissato in precedenza.

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In particolare, nel 2011 l'aumento del Pil sarà contenuto all'1,3% (quest'anno sarà negativo dello 0,3%), uno 0,5% in meno rispetto a quanto era stato stabilito; nel 2012 sarà del 2,5% contro il 2,9% e nel 2013 del 2,7%, 4 decimi in meno di quanto previsto. Dal canto suo il tasso dei senza lavoro evidenzierà quest'anno un peggioramento dello 0,4% al 19,4%; nel 2011 di mezzo punto al 18,9%, per arrivare nel 2013 al 16,2% (17,5% nel 2012), lo 0,7% in più di quanto previsto. Ciò detto il ritmo di distruzione dei posti di lavoro, nei prossimi anni, diminuirà sensibilmente rispetto al 2010, tenuto conto del fatto che quest'anno il tasso di disoccupazione dovrebbe toccare il picco massimo, oltre il 20% (qualcosa come circa 5 milioni di persone).
Restando in tema di occupazione, il presidente Jose' Luis Zapatero sarà impegnato senza sosta questo fine settimana per presentare l'attesa riforma del mercato del lavoro entro il prossimo martedì. Sindacati e imprenditori permettendo, dato che al momento non sembra esserci alcun accordo tra le parti. Oltre al fatto che i sindacati hanno minacciato uno sciopero generale nel mese di giugno se il governo dovesse imporre la riforma per decreto.

Il quadro generale appare dunque difficile, in un contesto in cui il problema di fondo rimane quello di come far coincidere la crescita economica, con il miglioramento dei conti pubblici. Infatti, mettendo i motori della "macchina" al minimo, vale a dire riducendo le spese e gli investimenti, è chiaro che il rischio cui va incontro il paese è quello di una "giapponesizzazione" dell'economia.
Zapatero, e questo è un dato positivo, si è però finalmente deciso ad agire, costi quel che costi politicamente. Per questo, ancora ieri, il premier ha lasciato intendere che non ci saranno elezioni anticipate e che la politica di governo dei prossimi mesi sarà totalmente assorbita dalla gestione della crisi e dal varo di nuove misure: strutturali, come le riforme del lavoro e delle pensioni; congiunturali come quella di carattere fiscale che dovrebbe vedere la luce già nelle prossime settimane.

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