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Jobs si schiera dalla parte dei giornali: «Guai a trasformarsi in una nazione di bloggers»

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 08:52.

RANCHO PALOS VERDES (LOS ANGELES) – I giornali? Sono il futuro: è una questione di democrazia. La provocazione controcorrente è un "boost" per la valle di lacrime dell'editoria tradizionale. Anche perchè viene da un "oracolo". Da uno che oggi ha meglio di ogni altro al mondo il polso del consumatore avanzato. E che non improvvisa: Steve Jobs in persona, «l'uomo migliore di cui dispone oggi l'America», come ci ha detto Rupert Murdoch, gran "patron" del D8, che abbiamo incontrato al Terranea Resort di Rancho Palos Verde al convegno annuale del WSJ sull'economia digitale. È qui che ieri notte Jobs ha aperto il cuore e il cervello in una due ore spettacolare per intensità, "showmanship" e visione della nuova frontiera nell'era digitale.

Per i media, il messaggio di Jobs è articolato. Senza giornali, senza content "serio", senza il rigore, la credibilità, l'equilibrio, del giornalismo tradizionale si corre un rischio: «Guai a discendere in una nazione di bloggers», dice. Una frase che ha fatto instantaneamente migliaia di giri su Twitter. Poi continua: «Se una democrazia vuole funzionare seguendo un processo libero e sano ha bisogno dell'informazione di qualità… Mi riferisco a giornali come il Washington Post, il New York Times, il Wall Street Journal. Restano centrali al processo…». La soluzione? Il pagamento del "content". Jobs non ha dubbi. Ci sarà sempre un consumatore disposto a pagare per la qualità. E offre un modello: «Trovate il prezzo giusto, puntate alla quantità… Servite il vostro consumatore… Dovete conoscerlo a fondo …Scoprirete che è pronto a pagare in rete. E oggi è molto più reattivo a un prezzo equo di quanto non fosse solo sei mesi fa….». Poi prende un impegno: dopo aver salvato il settore discografico e quello cinematografico cercherà di salvare anche i giornali… «Con l'Ipad stiamo gia' cominciando a farlo».

Troviamo Steve Jobs, jeans e maglietta nera, appollaiato su una poltrona rossa, con le ginocchia abbracciate sul petto nella hall del Terranea, questo resort sopravvissuto alla crisi immobiliare, costruito su una piccola penisola che si allunga sul Pacifico, protesa verso l'isola di Catalina. È aperto, disponibile, pronto a parlare. Da vicino, "Steve", come lo chiamano tutti, è anche più magro di quello che sembrava quando lo abbiamo visto recentemente in televisione. In questa sua magrezza è fragile. A un certo punto fa un riferimento alla vita e alla malattia che lo ha aggredito. Ma il carisma è imbattibile. Lo vedi da come tiene in pugno la folla del D8, 600 persone "live", esigenti, critiche, parte intima delle tribù informatiche. È ascetico, ha la barba che sembra incolta di tre o quattro giorni, ma poi vedi che è perfettamente curata. Poco prima aveva parlato per due ore al grande happening digitale che è diventato il "D" (8 sta per l'ottavo anno) intervistato da Walt Mossberg e da Sarah Swisher, punte del giornalismo digitale del WSJ, ideatori del convegno.

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Con loro, e con il dialogo con il pubblico, ha dato notizie chiave e altri messaggi oltre a quello sui giornali, focalizzando il tema centrale sull'era del post Pc , nella quale, dice «forse ancora non lo sappiamo...ma ormai ci siamo entrati di getto...». E ci offre un'analogia: «Quando eravamo una nazione di agricolotori erano i camion ad andare per la maggiore. Con l'urbanizzazione hanno prevalso le auto, più curate nella tecnologia, più facili, più mobili. Il Pc è come il camion: resterà, ma ci sarà una migrazione. L'Ipad è magico. Mi prendono in giro quando lo dico. Ma lo penso davvero, è magico. E capisco che questo agiti il mondo del Pc, incluso il nostro, quello dei Mac». Definisce «surreale» il sorpasso di Microsoft per capitalizzazione e aggiunge: «Ma non è per quello che veniamo ogni giorno al lavoro, veniamo e lo dico davvero, per l'eccitazione di realizzare grandi prodotti per la gente».

È su questo, sulla filosofia del lavoro, sulla dedizione, sull'etica inflessibile che regola le operazioni Apple, insiste, elabora, racconta, con passione travolgente, dando anche lezioni di management: «Sapete quanti comitati abbiamo nella nostra struttura? Zero. Siamo enormi, ma manteniamo lo spirito di una start up. Se le idee devono nascere e circolare occorre abbattere le gerarchie. Abbiamo un responsabile di prodotto e la sua squadra. Punto e basta. E io passo il mio tempo a incontrarmi con le squadre al lavoro. E sono fortunato perchè è il lavoro migliore del mondo e la gente straordinaria». Su Adobe, su "flash" che manca all'Ipod - grande polemica nel post debutto - esplode: «Ci sono tecnologie che sono alla primavera, altre all'estate o all'autunno o alla fine. Flash è alla fine. Non l'abbiamo incluso perchè non possiamo fare tutto. Dobbiamo scegliere i cavalli vincenti. Oggi la tecnologia chiave è Htlm 5. Ci sarà qualcuno insoddisfatto? Lo saranno sempre in meno. Se Adobe cambia le applicazioni, vedremo, ma lo promettono da troppo tempo....». Poi, seccato per le punzecchiature di Mossberg, dice: «Faremo pure qualcosa di buono se vendiamo un Ipad ogni tre secondi…».

Nel suo rapporto con il pubblico Jobs è ispirato. Ad esempio quando parla della sua vision per un mondo digitale più semplice, per le nuove frontiere delle applicazioni «che ancora non possiamo immaginare». Non vuole scendere in campo contro Google per i motori di ricerca, ma intende penetrare il mercato della pubblicità «perchè ci consentirà di dare aiuto ai nostri developer di applicazioni, perchè potremo modificare alcune cose essenziali, ad esempio consentire di non "uscire" dal sito dove ti trovi se per caso vedi una pubblicità…È serio quando affronta la polemica su Foxxcom, il suo fornitore di Ipad, il conglomerato cinese che occupa 400.000 persone e che ha registrato negli ultimi tempi un impressionante numero di suicidi: «La Apple non sceglie a caso. Andiamo a visitare il fornitore primario, quello secondario fino a quello terziario e Foxxcom non è un "swetshop", "da lavori forzati", creano condizioni di lavoro ideali. Voglio anche dire che il tasso di suicici in America è di 11 su centomila. Quello di Foxxcom di 7 su centomila. Quando sei enorme certe cose possono succedere…detto questo abbiamo inviato una squadra di esperti e psicologi per accertare la situazione…». È spiritoso quando racconta dettagli inediti sul furto dell'I-phone nuovo modello, in un bar: «Dovrebbero fare un film, c'è tutto, il furto, il sesso, la suspense». È romantico quando ricostrusce la storia: prima è nato il "tablet", poi l'Iphone, poi di nuovo il tablet «anni e anni di lavoro». Poi sul furto Iphone cambia timbro: «Quando lo abbiamo recuperato mi hanno consigliato di lasciare perdere. Ma si è trattato di un furto, di un tentativo di estorsione e di una vendita illegale. Ho riflettuto molto. Il nostro principio di fondo, la nostra storia è sempre stata quello del rispetto di valori etici. E ho deciso: non è un principio che abbandoneremo solo perche' siamo diventati più grandi».

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