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La Russia prepara l'intervento in Kirghizistan

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2010 alle ore 20:10.

MOSCA. La Russia si prepara a entrare in scena in Kirghizistan. «La situazione è intollerabile – ha dichiarato il presidente Dmitrij Medvedev – la gente muore, le differenze etniche danno origine alle violenze: è necessario fare tutto il possibile per mettere fine a tutto questo». La Russia, tuttavia, intende mostrare di agire in concerto con la comunità internazionale, perciò l'intervento che sta prendendo forma è sotto le insegne della Csto, un'organizzazione di ex repubbliche sovietiche votate alla sicurezza collettiva, una specie di Nato regionale.

«Non abbiamo escluso l'impiego di alcun mezzo a disposizione della Csto, compreso l'invio di un contingente di peace-keeping e di forze di reazione rapida», ha detto ieri da Mosca il segretario generale della Csto, Nikolaj Bordjuzha alla conclusione di un incontro con i rappresentanti degli altri paesi membri. Bordyuzha ha aggiunto che al governo di Bishkek sono necessari "attrezzature, elicotteri, mezzi di trasporto, anche carburante».

A Osh e Jalalabad, le città epicentro degli scontri, i testimoni descrivono un quadro drammatico. Cadaveri per le strade, quartieri incendiati, bande armate a caccia di nuovi massacri: kirghizi contro uzbeki, un odio riesploso sullo sfondo della crisi economica e del vuoto di potere seguito al cambio della guardia a Bishkek, dove il 7 aprile scorso il presidente Kurmanbek Bakijev è stato costretto alla fuga. Al suo posto, il governo provvisorio di Rosa Otunbajeva si è rivelato troppo debole per gestire la situazione nel Sud, roccaforte dei sostenitori di Bakijev.

Il bilancio ufficiale delle violenze, iniziate giovedì sera, è di 125 morti e 2.000 feriti, ma la Croce Rossa Internazionale presente a Osh riferisce di almeno 700 morti, soltanto in città. E non è immaginabile, dopo quanto è successo, che le tensioni si possano cicatrizzare rapidamente: le truppe inviate da Bishkek per riportare la calma sono sospettate di aver partecipato ai massacri contro gli uzbeki.

Decine di migliaia di persone tentano la fuga verso il vicino Uzbekistan, ma qui la Croce Rossa mette l'accento sulla crisi umanitaria: il governo di Tashkent ha dato ordine di chiudere i confini, incapace di gestire i campi profughi allestiti, e chiede aiuto alla comunità internazionale. Mentre un comunicato del ministero degli Esteri punta il dito contro i responsabili degli assassini, dei saccheggi e degli incendi: «Abbiamo ogni motivo per concludere che queste provocazioni sono state organizzat».

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A Jalalabad il comandante Kubatbek Baibolov ha annunciato l'arresto di una «personalità politica in vista» ritenuta responsabile del «tentativo dei sostenitori di Bakijev di riprendere il potere». Nelle regioni del Sud del Kirghizistan la minoranza uzbeka è particolarmente numerosa, il 40% della popolazione. La mescolanza di etnie e le énclaves uzbeke nell'area sono il risultato delle manovre geografiche di Stalin, che divise la valle di Ferghana tra kirghizi, uzbeki e tagiki.

In passato la violenza tra etnie è scoppiata soprattutto per il controllo della terra, questa volta tutto sembra risalire all'appoggio che la minoranza uzbeka ha dato al nuovo governo Otunbajeva al potere a Bishkek, mentre i kirghizi del Sud sono in maggioranza sostenitori del deposto Bakijev. Che, da Minsk, nega qualunque ruolo in quanto avvenuto.

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