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Marcegaglia: «La Tremonti ter va prorogata al 31 dicembre per rilanciare gli investimenti»

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2010 alle ore 08:02.

«La Tremonti ter, che scade il prossimo 30 giugno, va prorogata al 31 dicembre».
Ieri la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha sottolineato due volte l'importanza della defiscalizzazione degli utili reinvestiti da parte delle imprese: al mattino all'assemblea di Assolombarda e, al pomeriggio, a quella di Confindustria Vicenza. «Nella prima parte dell'anno - ha rilevato - con l'acuirsi della crisi ci sono stati pochi investimenti. Per questo la proroga della legge potrebbe contribuire a fare ripartire gli interventi in tecnologia e in innovazione, in una fase in cui già si stanno risvegliando».

Ieri la presidente di Viale dell'Astronomia è tornata a delineare la posizione di Confindustria nei confronti delle misure di Palazzo Chigi. Una posizione che apprezza il rigore sui conti, ma che contempla anche la necessità dello sviluppo. Una posizione che parte da una precisa convinzione: «La crisi è alle spalle: qualche piccolo segnale di miglioramento c'è, però la strada è ancora lunga. Ce ne vorrà per tornare ai livelli precrisi. Anche perché, ora, bisogna prima di tutto affrontare il problema europeo dei debiti-sovrani». In questo contesto, non privo di segnali positivi ma comunque ancora critico, serve una discontinuità italiana. Che non può non passare per la dimensione europea: dopo il mercato unico e la moneta unica, occorre una maggiore interconnessione fra le economie, perché il motore della crescita non può che essere comunitario. E non bisogna avere paura di guardare ai benchmark da imitare. Con un punto di riferimento: la Germania. Anche perché, un po' tedeschi, lo siamo anche noi italiani: la dimensione manifatturiera delle due economie produce più di una affinità di sistema, in valore assoluto il nostro paese resta la quinta potenza industriale del mondo e in termini di produzione industriale procapite l'Italia è seconda, dietro appunto alla Germania.

Sotto il profilo delle politiche economiche Berlino appare un esempio per la capacità, appunto, di coniugare rigore e sviluppo. Proprio quanto auspicato dalla Marcegaglia. «Il governo tedesco - ha ricordato la presidente di Confindustria - ha impostato, da qui al 2014, una manovra da 80 miliardi di euro con un obiettivo di parità di bilancio sul breve periodo e ha deciso di tagliare 15mila posti nella pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, però, ha deciso di rifinanziare la scuola, l'università, il capitale umano e la ricerca».

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Dunque serve una gestione accurata e stringente dei conti (ogni punto percentuale in più di interesse sul debito pubblico costa in prospettiva allo stato italiano 18 miliardi di euro di interessi da versare a chi lo detiene) e non va dimenticato che, negli ultimi anni, «la spesa centrale è aumentata del 38,5%, mentre quella delle regioni è salita dell'80 per cento. Certo occorre distinguere tra tagli lineari e tagli selettivi: i tagli lineari penalizzano chi ha operato bene, però una parte della spesa va ridotta». Ma occorre anche prendere della misure che liberino la crescita. «È il momento di decidere su molte cose: dal federalismo fiscale alla semplificazione burocratica, alla riduzione della pressione fiscale, che in media è di un quarto superiore a quella tedesca. È il momento di prendere delle iniziative che cambino davvero il paese».

Il plauso sul rigorismo dei conti, infatti, fa il paio con la critica all'esecutivo, che poco ha fatto per incidere su una società chiusa e ancora troppo corporativa: «Anche questo governo ha fatto troppo poco sulle liberalizzazioni. Chiediamo che su questo punto cambi rotta, non vogliamo tariffe minime per i professionisti, per nessuno. Ognuno vada sul mercato: se è bravo, vincerà. Altrimenti andrà a casa».
Sul tema delle liberalizzazioni e dell'intervento dello stato in economia, secondo il presidente di Confindustria, dunque «c'è ancora molto da fare. La finanziaria ha iniziato un percorso, ma rimangono molti provvedimenti da prendere, va rivisto il confine dello stato in economia. Senza demagogia occorre una riflessione chiara».

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