Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2010 alle ore 08:30.
Presidenziale, deciso, pronto a giocare al rilancio partendo da una posizione di debolezza, Barack Obama ha parlato ieri notte per la prima volta agli americani dall'intimità dell'Ufficio Ovale, per chiamarli a raccolta nella battaglia contro la marea nera. Una battaglia con tre fronti ben definiti. Il primo riguarda la sfida per ripulire le acque e le coste e le paludi e gli uccelli coperti di petrolio appicicaticcio. Il presidente ha promesso che entro le prossime settimane si dovrebbe poter "catturare" almeno il 90% del petrolio che fuoriesce dal "buco" nelle profondità dell'oceano.
Una promessa virtuale perché le stime della fuoriuscita continuano ad aumentare e ieri sono passate addirittura a 60.000 barili al giorno. Il secondo fronte aperto da Obama ieri notte riguarda la sicurezza per chi ha perso il lavoro, abitudini, passioni e uno stile di vita «a cui si erano abituati da generazioni». In questo caso il messaggio è stato chiarissimo e duro: «Pagherà la Bp… gli dirò che cosa mi aspetto da loro», ha tagliato corto il presidente senza neppure ipotizzare una possibilità di dialogo con il colosso petrolifero che starà semplicemente ad ascoltare le imposizioni finanziarie e organizzative della Casa Bianca.
E' chiaro che se Barack Obama si permette di puntare l'indice contro questa grande compagnia petrolifera, senza darle una possibilità d'appello in un paese garantista come l'America significa che la BP l'ha fatta grossa. Una ricostruzione del Congresso dimostra che pochi giorni dopo l'esplosione il colosso petrolifero britannico, per risparmiare, ha prima ignorato le raccomandazioni scritte della Halliburton, favorevoli all'impiego di un maggior numero di stabilizzatori e poi altre regole seguite normalmente dalle compagnie petrolifere in circostanze simili. E dunque dall'incontro di oggi alla Casa Bianca i vertici della British Petroleum usciranno con la coda fra le gambe, saranno quasi certamente disponibili a congelare i dividendi e a stanziare un fondo le cui dimensioni potrebbero raggiungere i 20 miliardi di dollari per rimborsare le vittime del disastro, un fondo "esterno" alla Bp, gestito da persone nominate dal governo americano.
, il tentativo sornione e tipico della personalità di Obama di trasformare una situazione difficile in una possibile vittoria. Così in condizioni politiche difficili, con le lobby petrolifere scatenate contro di lui furibonde per la moratoria di sei mesi sulle trivellazioni e persino molti senatori democratici contrari a far avanzare il dibattito in Parlamento Obama ha giocato al rilancio rilanciato la sua sfida poter passare quasi subito un nuovo progetto di legge che fra la altre cose dovrebbe introdurre una tassa per chi eccede certi limti di inquinamento.
Il presidente ha parlato alle otto in punto, ha esordito ricostruendo in modo dettagliato le dinamiche che hanno portato all'incidente del 20 di aprile scorso. Ha raccontato di essere appena tornato dalla regione, di aver visto la tragica impronta del disastro nei volti della gente, nella natura, nella fauna. Ha detto di aver visitato non solo la Louisiana giorni fa, ma anche il Mississippi, l'Alabama, la Florida e di aver promesso iniziative di protezione su ogni fronte. Ha confermato ad esempio che il governo federale pagherà il conto per la mobilitazione di 17.000 membri della Guardia nazionale statale, che sarà gestita sotto l'autorità dei singoli stati. Ha annunciato la nomina di Michale Bromwich, un noto avvocato di Washington alla guida della Mineral Management Services, l'agenzia di controllo del settore petrolifero: «Ha l'incarico di far si che la MMS non sia più un partner delle compagnie petrolifere, ma il suo cane da guardia», ha detto Obama. E ha promesso che costringerà la Bp a «risarcire fino all'ultimo centesimo i danni subiti».
Protezione e populismo dunque. È stata questa la parte "intima" del discorso, con la promessa di un ruolo forte e rassicurante di uno stato che per molti americani è stato assente: «Non ce ne andremo, la mia amministrazione farà tutto il necessario per tutto il tempo necessario. Sarò personalmente il fiero difensore di coloro che per generazioni hanno chiamato casa la regione del Golfo». Il presidente, nel tono, nelle promesse, ha cercato di riparare il danno di immagine che ha subito nei giorni e nelle settimane immediatamente successivi alla devastante esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon della Bp. L'accusa: quella di essere stato assente.
Ma Obama ha cercato anche disperatamente di rilanciare. Più rigido di un Ronald Reagan figura paterna e dolce per il grande pubblico o di Bill Clinton pervaso di empatia che sembrava sempre sincera in questo suo primo discorso alla Nazione dall'ufficio Ovale (Reagan nello stesso periodo ne aveva già fatti cinque!) ha passato l'esame, ma non necessariamente a pieni voti. Nella parte politica, ha incalzato i repubblicani a reagire con lui davanti a questo disastro per migliorare «il futuro dell'America» e ha chiesto l'approvazione del progetto di riforma energetica che langue in parlamento. Il presidente ha detto che questa è l'occasione per ridurre la dipendenza del paese dall'energia petrolifera, ha chiesto misure per migliorare il ricorso a fonti energetiche alternative, ha promesso l'introduzione del "carbon cap and trade": ci saranno dei limiti all'inquinamento e chi avrà inquinato meno potrà commercializzare i suoi "risparmi" ambientali in mercati appositi.
Obama sa che i repubblicani resistono. Ma sa anche che se i repubblicani non lo seguiranno si schiereranno – come già capitò per la riforma del sistema bancario – dalla parte sbagliata delle barricate. In questo Obama è aiutato dal Congresso. Ieri, durante audizioni durissime, il capo della Commissione Energia Henry Waxman è arrivato a dire che «Exxon, Mobil, Chevron, ConocoPhillips e Royal Dutch Shell (tutte convocate, ndr) non sono meglio preparate di Bp a fare fonte a una fuoriuscita di grandi dimensioni. Bp ha fallito miseramente quando ha dovuto fare fronte a una vera falla, Exxon e le altre società non farebbero meglio». Gli amministratori delegati delle "grandi sorelle" si sono difesi isolando Bp: Rex Tillerson, numero uno di Exxon, ha attribuito l'esplosione del 20 aprile scorso e il successivo collasso in mare della piattaforma Deepwater Horizon a «un drammatico allontanamento dalle norme dell'industria petrolifera sulle trivellazioni».
Anche John Watson, numero uno di Chevron, ha implicitamente puntato l'indice contro Bp, dicendosi convinto che le indagini in corso «mostreranno che questa tragedia era evitabile, è un incidente che non si può ripetere – ha detto – perché le trivellazioni in profondità sono sicure e adeguate». Intanto, a complicare le operazioni di bonifica nel Golfo del Messico, ieri un fulmine ha colpito la nave che raccoglie il petrolio, causando un piccolo incendio, dopo una breve sospensione, le operazioni di recupero sono riprese.