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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 08:54.
Il mondo ha riscoperto la Turchia, non più terra di spiagge bianche, kebap profumati alla menta ed eserciti e magistratura baluardo della laicità e dell'occidente, ma improvvisamente anche un soggetto politico autonomo nello scacchiere internazionale, molto disinvolto, parecchio arrogante, forse ingenuo nel credere di poter guardare sia a est sia a ovest senza creare guai innanzitutto a se stesso, magari capace di dissimulare i piani più o meno segreti di smantellamento della laicità della repubblica e di islamizzazione del paese, certamente campione di una nuova retorica pan-musulmana, populista e con velleità neo-ottomane.
Tutto il mondo si chiede se ci siamo persi la Turchia, dopo gli ammiccamenti ad Hamas, gli accordi con l'Iran degli ayatollah, le accuse feroci a Israele, il no alle sanzioni Onu sul nucleare di Teheran, gli schiaffi agli Stati Uniti. I giornali turchi si sono accorti solo negli ultimi giorni del tema che tanto appassiona l'occidente e - specie Hurriyet e Zaman, i due quotidiani che escono anche in lingua inglese - hanno cominciato ad affrontare in modo ossessivo il tema. Nemmeno loro sono riusciti a dare una spiegazione univoca.
Gli esperti, gli analisti e le fonti diplomatiche, anche israeliane, consultate dal Sole 24 Ore tendono a escludere l'idea che la Turchia abbia intrapreso la via senza ritorno dell'Islam radicale, anche se la retorica antisemita e le scelte antioccidentali del premier turco Recep Tayyip Erdogan preoccupano non poco ed è impossibile prevedere l'effetto profondo che avranno sulla società. Omer Taspinar, editorialista di Zaman, sostiene che a muovere la Turchia non sia l'Islam politico, ma una grandeur mista a frustrazione nei confronti dei partner tradizionali - America, Europa, Israele - che ricorda da vicino il gollismo francese.
Resta il fatto che Erdogan guarda oltre l'Europa. Cerca nuove sponde. Si tiene le mani libere. Chiede di entrare nell'Unione europea e ha ottenuto lo status di osservatore nell'Unione africana. Discute iniziative comuni con la Lega araba ed è più attivo che mai nell'Organizzazione della conferenza islamica. La settimana scorsa ha convocato Siria, Libano e Giordania per costruire l'Unione mediorientale di libero scambio, su modello e in alternativa all'Unione europea. Fa accordi bilaterali commerciali con i paesi limitrofi, apre ambasciate in Africa, punta ai mercati dell'area turcofona che si estende fino alla Cina, agisce da mediatore nei Balcani, va a braccetto con i russi, prova a ritagliarsi il ruolo di paciere con l'Iran e a scalzare Egitto e Arabia saudita come guida della regione. Cerca, infine, di sfruttare la posizione geostrategica della Turchia e di farne il crocevia obbligato delle rotte energetiche che collegano i paesi produttori di petrolio e gas ai consumatori europei.