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Asse Bossi-Fini sulle intercettazioni, Berlusconi all'angolo

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 09:22.

Dopo Fini, Bossi. Il leader della Lega passa dalle parole ai fatti e, dopo l'apertura di mercoledì alle modifiche, ieri ha confermato al presidente della Camera l'intenzione di seguirlo sulla strada dei cambiamenti al ddl intercettazioni licenziato dal Senato, non foss'altro per «non rimanere fregati» dalla mancata promulgazione da parte del presidente della Repubblica.

Poco dopo, in commissione Giustizia, la Lega dava man forte alla presidente Giulia Bongiorno, relatrice del provvedimento, sulla necessità sia di «approfondire» e «riflettere» (anche con audizioni) sia di «modificare» alcuni punti del testo, a cominciare dal meccanismo delle proroghe del tetto massimo di 75 giorni. Ad opporsi, soltanto i berlusconiani, che insistono per «fare presto». Ma il premier, a chi ieri lo ha sentito, confidava di avere ormai «le mani legate» e di non poter fare più nulla per scongiurare le modifiche a un testo che, ribadiva, «già non sentivo mio e del quale, quindi, mi importa poco». Un epilogo di cui considera responsabile il presidente della Camera, "colpevole" di volerlo «boicottare» e di avergli aizzato contro «la sinistra e addirittura l'Europa».

Sembra sempre più scontato che il ddl intercettazioni uscirà da Montecitorio non prima di settembre, anche se il ministro per le Infrastrutture, Altero Matteoli, continua a sostenere che «ci sono i presupposti e i tempi per approvarlo prima dell'estate». «Deciderà la Conferenza dei capigruppo», aggiungeva. E poiché Fini l'ha convocata per lunedì, qualcuno ha pensato che ancora ci fosse lo spazio per un'anticipazione ad agosto; ma in serata, da ambienti della presidenza della Camera è stato precisato che lunedì non si parlerà affatto di intercettazioni.

Nella partita gioca un ruolo decisivo il Quirinale. Finché il Pdl non avrà la certezza del via libera del Colle, la corsa contro il tempo sarebbe inutile e controproducente, perché non garantisce di avere la legge prima dell'estate. Bossi, ieri, lo ha detto a chiare lettere dopo l'incontro con Fini a Montecitorio. Il faccia a faccia è durato un'ora e al termine il Senatur ha messo in chiaro che occorre «trovare una via d'uscita». «Se si va a testa bassa non risolvi le cose; se invece si parla, si tratta, le cose si risolvono», ha spiegato. Il muro contro muro rischia infatti di avere ricadute negative sulle riforme, anzitutto sul federalismo.

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Tags Correlati: Altero Matteoli | Berlusconi | Camera | Colle | Enrico Costa | Gianfranco Fini | Gianni Letta | Giulia Bongiorno | Lega | Montecitorio | Pd | PDL | Presidenza della Repubblica | Reati | Senato | Umberto Bossi

 

«La soluzione va cercata tra Berlusconi e Napolitano – aggiungeva Bossi –: se si trova, si potrebbe andare avanti. Anche perché se poi il presidente non firma siamo fregati». Parole che tradiscono anche l'ipotesi di un accantonamento del ddl. Il ministro delle Riforme, però, dice di essere «fiducioso» sulla possibilità di lavorare per cambiare alcuni punti del provvedimento. E alla mediazione stanno lavorando, per Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini.

I punti da cambiare non sono pochi. Li ha elencati la finiana Bongiorno nella relazione fatta ieri in commissione, dove ha sottolineato la necessità di «nuove modifiche». Troppo strozzato il termine massimo di 75 giorni per la durata degli ascolti, che penalizza in particolare i «reati satelliti» di quelli mafiosi; «farraginoso» il meccanismo delle proroghe di 3 giorni in 3 giorni, soprattutto se combinato con l'istituzione del Tribunale collegiale per autorizzarle, che dà «maggiori garanzie» ma «provoca una serie di problemi organizzativi». «Perciò suggerisco una riflessione sui meccanismi e sui tempi», ha detto la Bongiorno, riferendosi anche alle intercettazioni ambientali.

Nel mirino pure la cosiddetta norma D'Addario, che punisce chi registra «fraudolentemente» conversazioni con il carcere fino a 4 anni: una sanzione sulla cui «congruità e ragionevolezza» la Bongiorno invita a riflettere. Ma soprattutto le maximulte agli editori, che prefigurano un sistema di controlli dell'editore sul direttore, poco compatibile con la libertà di stampa. Infine le norme che impongono di chiedere l'autorizzazione delle Camere se emerge che le intercettazioni o i tabulati siano comunque finalizzate, «anche indirettamente», ad accedere alla sfera di comunicazioni dei parlamentari: una norma che disegna una «guarentigia troppo estesa». A tutto ciò si aggiunge una riflessione generale: ben vengano nuove norme sulle intercettazioni, perché ci sono stati degli «eccessi», ma «per correggerli – avverte la Bongiorno – non si può rischiare di limitare le intercettazioni nelle indagini in cui sono fondamentali». Insomma, attenti a non buttar via il bambino con l'acqua sporca.

Applauditissima da finiani, Lega e opposizioni, la Bongiorno non ha escluso la possibilità di procedere ad audizioni. «Sarebbero un puro atto dilatorio», ha obiettato Enrico Costa (Pdl), perché sono già state audite «60 persone». Nel frattempo, però, il testo è cambiato in 19 punti, tant'è che anche la Lega è favorevole alla proposta, perorata soprattutto dal Pd, e non considera affatto le audizioni «una perdita di tempo».

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