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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2010 alle ore 08:03.
È alle mappe stradali che ci si deve affidare per capire un po' meglio Pomigliano d'Arco, questo paesone irizzato dalle partecipazioni statali di democristiana memoria immerso tra le aree più antropizzate e densamente popolate del pianeta. La Macao italiana, i Borboni al posto dei colonizzatori portoghesi, ostenta le casette basse e grigie costruite una a una dall'Iri per accogliere gli operai dell'Alfa. Un'apparizione che dura solo un chilometro.
Viale Alfa scimmiotta la geometria lombarda con un filare di pini marittimi che divide un nastro di cemento che conduce alla fabbrica. I cartelli stradali riportano nomi che rifanno la storia di Gomorra dagli anni Settanta ad oggi: Ottaviano, il paese di don Raffaele Cutolo, gran capo della Nuova camorra organizzata a sud-est; Casalnuovo, una costellazione cementizia dove un boss amico del sindaco tirò su nel giro di una settimana settanta palazzi abusivi a sud. Procedendo verso a nord ecco Acerra, campagne divorate da montagne di calcestruzzo sulle quali svettano le tre ciminiere dell'unico termovalorizzatore della Campania, dieci interminabili anni di lavori, di scandali, di insulti e di picchetti. La provincia di Napoli fa tre milioni di abitanti raccolti in mille chilometri quadrati. Gomorra ma anche Sodoma, come denunciano anno dopo anno le relazioni del ministero degli Interni e della Banca d'Italia: record di comuni sciolti per infiltrazioni camorristica (65 su 92), primo posto assoluto, con il 12,9%, nella infelice graduatoria dei disoccupati nell'Europa a 27, il 22% delle famiglie, quasi una su quattro, sotto la soglia di povertà.
Il conflitto tra capitale e lavoro qui non sanno neppure cosa sia. Non c'è capitale e men che meno lavoro. A queste latitudini il conflitto immanente è tra fame e sopravvivenza. Chi non ce la fa a bordeggiare l'estremo limite della sussistenza fugge verso un Nord qualsiasi. Una destrutturazione permanente di relazioni umane, legami, fiducia nel futuro.
Pasquale e Giuseppe Amendola sono i figli quarantenni di un vecchio operaio dell'Alfa richiamato a Pomigliano dopo anni alla catena di Mirafiori. Pasquale, nell'89, dopo un lungo apprendistato da gommista in un'officina di Casalnuovo, viene assunto all'Alfa. Suo fratello Giuseppe, operaio edile, fa le valigie e raggiunge una zia anziana nel nord della Germania. Viene assunto da una ditta tedesca che ricopre di specchi i grattacieli di Stoccarda, Hannover, Colonia. Dopo 21 mesi di Cassa integrazione a 745 ero al mese, Pasquale ha comunicato alla moglie casalinga e ai suoi quattro figli (due gemelle di 19 anni, un ragazzo di sedici, una bambina di nove) che quest'anno «il mare lo facciamo sulla balconata di casa». Le uscite mensili di Pasquale bruciano tutto l'importo della Cig: 500 euro di mutuo e trecento ingoiati da un prestito. Giuseppe, il fratello emigrante, ora vive a Parigi e fa l'imprenditore. A ricoprire di specchi i palazzi de Les Halles non è più lui ma i suoi dipendenti temporanei che assume nelle agenzie interinali per l'intera durata di una commessa. Poi ognuno a casa propria.