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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 08:00.
«A Chongqing oggi la metropolitana ha una rete di 20 chilometri. Ma sa qual è l'obiettivo di sviluppo? 500 km». È il volto della Cina 3.0. Paolo Zegna, vicepresidente di Confindustria per l'internazionalizzazione, reduce dalla recente missione di sistema nelle terre dell'Impero di mezzo, non ha dubbi: nonostante i grandi numeri e le difficoltà di un mercato lontano, è qui il futuro delle Pmi italiane, perché è qui il mercato dei beni strumentali come di quelli di consumo.
«Ho trovato una Cina straordinariamente cambiata negli ultimi 15-18 mesi. Ho toccato con mano qualcosa che non mi era mai capitato di vedere prima. Un paese non più solo export oriented, che in maniera orgogliosa è determinato a cogliere la sua occasione di cambiamento, anche collaborando con il resto del mondo: lo sviluppo del grande mercato locale» racconta Zegna. E lancia un messaggio alla piccola e media impresa italiana: «Questa è la Cina. Se tu vuoi starne fuori è tua scelta. Ma devi sapere che per il bene della tua famiglia, della tua azienda e delle nuove generazioni devi trovare il modo di far parte del cambiamento e studiare da subito cosa vuoi fare». Gli strumenti per affrontare la sfida ci sono, se no si creano. «E oggi occorre anche invogliare i cinesi a investire in Italia».
Ma il loro arrivo può avere risvolti di business anche per le Pmi?
Certo. Le imprese cinesi hanno raggiunto un notevole miglioramento della qualità dei loro prodotti. Ora cercano partner anche medio-piccoli per accrescere la qualità e posizionarsi ancor meglio sul loro mercato. Oggi gli scenari sono completamente diversi. Il cavallo a cui davano da bere non ha più sete essendosi ridotto il loro export verso Usa, Ue e Giappone. Il governo di Pechino così punta sui consumi domestici, in crescita esponenziale anche per l'aumento del costo medio dei salari. È questo il cambiamento da cavalcare. Oggi si deve andare lì perché è un grande mercato.La Cina a lungo è stata un incubo competitivo e una realtà vittima di troppi stereotipi. Così scontiamo ancora un notevole ritardo quanto a presenza delle nostre imprese...
Nel 2009 sul fronte dell'export con il +3,7% registrato verso la Cina abbiamo fatto meglio dei nostri concorrenti, Germania compresa. Ma nel gigante asiatico siamo effettivamente presenti ancora in maniera poco radicata, con solo 2mila imprese.