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Pomigliano vota il suo futuro

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 08:01.

POMIGLIANO D'ARCO - Oggi la fabbrica di Pomigliano va alle urne. I lavoratori potranno esprimere il loro giudizio sull'accordo raggiunto da Fiat e da quattro sigle sindacali (Uilm, Fim, Fismic e Ugl). La questione dello stabilimento campano, dove Sergio Marchionne avrebbe intenzione di investire 700 milioni di euro trasferendovi la produzione della Panda ora realizzata a Tychy in Polonia, è stata centrale anche ieri, nel dibattito pubblico italiano.

Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ne ha sottolineato l'importanza strategica: «Pomigliano è un caso simbolico, perché siamo di fronte a un'azienda che intende riportare da un paese dell'est Europa una produzione in Italia e, in particolare, a Pomigliano, che è un posto complicato, non solo per la produttività ma anche per la criminalità». Una decisione che non è in alcun modo collegata a trasferimenti pubblici. «La Fiat – ricorda Emma Marcegaglia – ha deciso di farlo senza chiedere niente allo Stato, ma domandando solo il rispetto di un accordo con il sindacato».

Accordo a cui la Fiom continua a dire di no: «Tutelare i falsi malati e gli assenteisti cronici non vuol dire tutelare i diritti dei lavoratori». Il mestiere del sindacato, ha continuato la presidente di Confindustria, è quello di tutelare i lavoratori corretti che sono «la stragrande maggioranza». Al di là dell'esito del referendum, ci sarà poi il problema dell'atteggiamento dei sindacati contrari, che in una organizzazione complessa come quella della fabbrica campana potrebbero anche renderne impraticabile il funzionamento quotidiano: «Se venisse meno il senso di responsabilità di questi sindacati e se alla fine non passassero gli investimenti a Pomigliano, chi mai verrà a fare investimenti in questo paese?», ha concluso la Marcegaglia.

Ieri sulla vicenda è intervenuto anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: «Ho fiducia nella concretezza delle lavoratrici e dei lavoratori – ha affermato –. Credo ci siano le condizioni per un largo consenso, senza né vinti né vincitori. L'unica vittoria è quella degli investimenti e dei posti di lavoro». Il vicesegretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha auspicato una vittoria del sì: «È necessario che il sì all'accordo prevalga in modo convinto e largo». Anche se Letta ha sostenuto che «quell'accordo è un unicum. Non può essere ripetibile, come se fosse un modello. È legato a caratteristiche specifiche di quello stabilimento, come l'abuso in passato di certi diritti». Ad appoggiare il sì e il piano Marchionne è pure il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, che su questo tema ha dato una stoccata al Partito democratico, che secondo lui dovrebbe «uscire dagli imbarazzi»: «Mi preoccupa che nella manifestazione di sabato del Pd il segretario Bersani non abbia dedicato una parola alla vicenda di Pomigliano».

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Di opinione opposta è Maurizio Zipponi, un ex leader della Fiom Cgil che è passato con l'Italia dei valori, diventandone responsabile del dipartimento lavoro-welfare: «Il referendum di Pomigliano è una farsa». Secondo Zipponi il quesito reale con cui dovranno confrontarsi i lavoratori è: «Vuoi essere licenziato subito o preferisci rinunciare ad alcuni tuoi diritti, a partire da quello di sciopero?». Ancora più pesante è il giudizio del segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero: «È un ricatto mafioso che dà luogo non a un referendum, ma a un plebiscito, perché la gente non è libera».

Nel tardo pomeriggio di ieri a Pomigliano, al Teatro Gloria si è svolta una seduta congiunta fra il Comune e la Provincia di Napoli. Il presidente della Provincia, Luigi Cesaro, ha detto di avere avuto un «incubo, nel quale la Panda si produceva in una città polacca dal nome impronunciabile». Il sindaco di Pomigliano, Lello Russo, ha ricordato come «l'azienda, da questa città polacca, abbia deciso di spostare la produzione della Panda. Non possiamo perdere questa occasione». Clima caldo, al Teatro Gloria: alcuni degli ottantotto precari dello stabilimento Fiat e dell'indotto e diversi operai iscritti ai sindacati contrari all'accordo hanno contestato i politici locali, in particolare il presidente della Provincia, interrompendone i discorsi con fischi e urla. Quando Cesaro ha parlato di «fabbrica assenteista» è venuto giù il teatro. Alla fine, anche se a fatica, il presidente della Provincia di Napoli è riuscito a concludere il suo discorso.

IL REFERENDUM
Oggi si vota dalle ore 10 alle 20. Pochi minuti dopo, inizierà lo spoglio delle schede. Le dieci urne saranno concentrate nella Sala Paghe, dove una volta veniva consegnato in banconote lo stipendio agli operai e agli impiegati e dove ancora adesso passano, ogni 27 del mese, i cento dipendenti Fiat che, privi di un conto corrente bancario, ricevono in mano il loro assegno. Poco più di 500 voti saranno riposti in ciascuna urna, che sarà gestita da due scrutatori. In tutto 20: cinque per ogni sindacato che ha dato il suo appoggio all'accordo (Fim, Uilm, Fismic e Ugl). Per garantire la maggiore trasparenza possibile, ai 20 si aggiungeranno 15 rappresentanti di Fiom e Cobas, più alcuni ufficiali giudiziari e vigili urbani. (P.Br.)

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