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Economia Aziende

Strappo generazionale dietro il voto

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 08:03.

È il giorno della meditazione. Ogni pensiero e ogni parola ruotano attorno a tre varianti: l'adesione convinta, il sì critico e il no apparentemente distruttivo. Perché dentro ogni scheda c'è un corpo a corpo con se stessi («dopo aver votato mi sarei sputato in faccia», ha detto più di un operaio uscendo dalla cabina elettorale) che ora potrebbe generare conseguenze imprevedibili. I grandi aggregati, invece, rivelano il conflitto permanente tra i "vecchi" operai quarantenni assunti nell'89 (ne furono reclutati in pochi mesi oltre duemila) e i 325 ragazzi tra i 25 e i 29 anni assunti nel 2005. Uno smottamento generazionale. I quarantenni dell'89 con tre o quattro figli e mogli casalinghe educati da padri tutti operai dell'Alfa e con il "cuore rosso" - rosso Alfa, non rosso Fiom - contro i ventenni single e senza casa da pagare «perché tanto ci pensa mammà».

Nei giorni precedenti al referendum, le guaglione sono state molto chiare con gli operai di Pomigliano: «'O sabato e a rummenica notte tu 'a fabbrica nun ce vaje!». Difficile spiegare le dinamiche tra generazioni ai vertici della Fiat che avevano strappato 120 ore di lavoro straordinario e notturno durante i fine settimana. «Quindici sabati l'anno, quattro mesi di week end bruciati», ha calcolato Stefano Citarella, 26 anni, assunto dopo quattro anni di contratti formazione lavoro e un contratto a tempo determinato. Stefano, figlio di un panettiere disoccupato di Marano, feudo del boss Nuvoletta, ha votato sì senza indugi. Ma i suoi colleghi giovani che lavorano a singhiozzo sulla linea della 159 non hanno tradito il mandato delle loro fidanzate. La movida napoletana del fine settimana è regolata da precetti inviolabili. La Fiom e i Cobas non c'entrano. È la generazione Mediaset, allevata a panini col provolone e la musica dei neomelodici napoletani.

«Ottocento euro al mese di Cig per un ragazzo che vive con i genitori è tutto grasso che cola», ci dice Paolo Spinola, 48 anni di Fuorigrotta, con casa «di fronte lo stadio San Paolo dove giocava Maradona», spiega meglio per farsi capire. Tra bere o affogare Spinola ha scelto di bere, ma ora che la pancia è gonfia di preoccupazioni racconta le umiliazioni che vive quando deve negare al figlio diciassettenne «venti euro per comprarsi un pantalone». Sono storie minime, storie di operai senza tessera sindacale con il chiodo fisso del lavoro e della fabbrica, operai costretti a versare al Comune di Napoli 530 euro all'anno di tassa sulla monnezza. La Tarsu più alta d'Italia, quasi un mese di Cig: «In 21 anni ho portato alla Fiat solo tre certificati medici, per un totale di nove giorni. Ci volete chiamare sfaticati? E chiamateci sfaticati». La fabbrica Fiat di Pomigliano è un naturale presidio di legalità, la parte migliore della Campania lavora a queste catene di montaggio. Il reclutamento della Fiat è stato scientifico. Non è poco da queste parti.

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Tags Correlati: Annamaria Carannante | Comitato di base | Fiat | Imprese | Italia | Maria Capasso | Mediaset | Paolo Spinola | San Paolo | Slai Cobas | Stefano Citarella

 

Maria Capasso, 36 anni, è una delle pochissime operaie che senza mezzi termini sostiene di aver votato no. Un no secco, senza se e senza ma. «Grazie a Dio non sono sposata», esordisce. Lei non è più iscritta al sindacato. Ma un anno dopo aver disdetto la tessera si è ritrovata la trattenuta in busta paga per una nuova iscrizione mai richiesta: «Ho preteso che mi restituissero i 130 euro detratti senza il mio assenso. In fabbrica non mi fido di nessuno, tantomeno dei sindacati. Perché ho votato no? I corsi di formazione propedeutici alla produzione della nuova Panda non prevedono neppure il rimborso della benzina. Vivo a Giugliano e con i soldi della Cig non posso permettermi di andare giù e su dal mio paese. E poi non condivido la decisione dell'azienda di sottrarci la mezz'ora della pausa pranzo nel caso in cui ci sia un fermo linea. È ingiusto recuperare un problema tecnico indipendente dalla volontà degli operai con lo spazio risicato di una pasto».

Maria, Paolo, Stefano, il puzzle delle interpretazioni sul referendum è variegato. Uno zigzag tra norme, contratti, nuove condizioni di lavoro. Di donne contro ce ne sono tante. Il loro voto si è sommato a quello dei giovani e ai duri e puri di Fiom e Slai Cobas. Annamaria Carannante, impiegata Fiat e moglie di un operaio che ha votato no, esprime il suo dissenso con grande proprietà di linguaggio. Lei, dipendente di Fiat Service, società torinese del gruppo, non aveva diritto al voto: «Il no è espressione di orgoglio e dignità. C'è la libertà piena e la libertà condizionata: noi, a Pomigliano, siamo in libertà condizionata». Ad Annamaria non è piaciuto l'aut aut degli uomini del Lingotto. E il rischio di perdere il lavoro e l'investimento della nuova Panda? Lei non ha dubbi: «La Fiat non avrà mai il coraggio di lasciare 17mila persone in mezzo a una strada».

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