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Cari colleghi, l'austerità è agonia

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2010 alle ore 08:52.

I paesi del G-20 hanno nuovamente posto sotto accusa le politiche restrittive europee ispirate dalla Germania temendo che esse prolunghino la crisi mondiale. Una Lettera di duecento economisti italiani (incluso chi scrive) evidenzia che il pericolo è reale (si veda Il Sole 24 Ore del 16 giugno; www.letteradeglieconomisti.it). Su queste colonne Alberto Alesina e Roberto Perotti (24 e 26 giugno) hanno criticato tali posizioni, e Alberto Bisin e Michele Boldrin (27 giugno) hanno addirittura giudicato la Lettera populista. Tutte queste obiezioni risultano palesemente condizionate da precetti pre-keynesiani che sembravano ormai seppelliti dagli errori che avevano ingenerato durante la Grande depressione.

I nostri critici sostengono che: 1) responsabilità della crisi sia dal lato dei paesi debitori della periferia europea, che avrebbero dissipato in bolle edilizie o spesa pubblica i cospicui flussi di capitale giunti dall'estero con l'avvento dell'euro; 2) politiche fiscali e monetarie espansive concertate porterebbero solo a un accumulo di debito pubblico che ostacolerebbe la ristrutturazione nei paesi debitori e getterebbe nel panico i mercati finanziari; 3) una politica di riduzione del debito porterebbe invece a "liberare risorse" per gli investimenti produttivi, non mancando il rituale richiamo a ulteriore flessibilità del lavoro; 4) la Germania non ha ragione di mutare un modello di successo.

A tali argomenti si può sinteticamente così replicare.
1. L'abbondante liquidità creata dal sistema bancario dei paesi dell'Europa centrale è andata dove il cuore, dunque il mercato, l'ha portata, ossia soprattutto a finanziare le bolle edilizie nei paesi periferici. Economisti del rango di Blanchard e Giavazzi ci avevano assicurato che questo non sarebbe dovuto accadere. Si vede proprio che il mercato non ubbidisce alla teoria economica dominante! La responsabilità può dunque essere attribuita anche a chi ha prestato, cioè ai paesi che su questa base precaria hanno costruito cospicui surplus commerciali. Più in generale, la responsabilità di fondo della crisi può essere rintracciata nel tipo di economia che è prevalsa negli ultimi decenni, con una distribuzione del reddito sfavorevole al lavoro dipendente, e in cui la domanda aggregata è stata sostenuta da abbondante liquidità a favore del settore privato. Bisin e Boldrin ci accusano di sotto-consumismo. La definizione è assai semplicistica, ma di sicuro rinvia a una tradizione analiticamente più solida ed empiricamente più convincente di quella che assume che nell'economia di mercato qualsiasi reddito si traduca in spesa (la celebre legge di Say respinta da Keynes).

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2. Sostenibilità dei debiti pubblici e stabilizzazione dei tassi di interesse sono assicurate se la politica monetaria le rende tali, tant'è che i mercati sono rassicurati dagli interventi della Bce a sostegno dei titoli pubblici e scettici sui tagli concertati alla spesa pubblica.

3. Che i tagli "liberino risorse" per gli investimenti è privo di senso: dove si ravvede la necessità di sottrarre risorse dagli usi sociali correnti quando altre risorse, lavoro e impianti, sono già largamente sotto-utilizzate? Questo sotto-utilizzo mostra pure come sia fuori luogo il timore che una politica monetaria attiva generi inflazione o che politiche fiscali espansive spiazzino gli investimenti.

4. Concordiamo, la Germania non cambierà politica, e ha la forza per farlo come dimostrano le conclusioni del G-20. Anzi l'indebolimento dell'euro e i tagli alla spesa sociale (non a università e R & S!) rafforzano il suo mercantilismo, aggravando gli squilibri globali. La passività dei governi europei di fronte alla Germania è tuttavia impressionante.

Che prospettive dunque per l'Italia e i paesi periferici dell'Unione? Si afferma che noi li condurremmo a un destino argentino. In verità è la vicenda dell'Unione monetaria europea che presenta sconcertanti analogie con quell'esperienza. Invece di cercare soluzioni alternative razionali, le politiche avallate dai nostri critici ci condurranno a una lenta agonia, che aggraverà i problemi strutturali che ci affliggono.

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