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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2010 alle ore 09:37.
La Corte di appello di Palermo ha condannato il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri a 7 anni, riconoscendolo colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima del 1992. In primo grado Dell'Utri era stato condannato a 9 anni. I giudici sono rimasti in camera di consiglio per sei giorni. Il procuratore generale Nino Gatto aveva chiesto la condanna a 11 anni.
La corte ha invece assolto Dell'Utri limitatamente alle condotte contestate come commesse in epoca successiva al 1992 perché «il fatto non sussiste», riducendo così la pena da nove a sette anni di reclusione. «Sentenza pilatesca»: questo il commento a caldo del Senatore. Che ha anche aggiunto in tono ironico: «Cercherò il procuratore Gatto e gli farò le condoglianze».
Le accuse del Pg. Dal «decreto salvaladri» al tentativo, poi fallito, di adottare norme che avrebbero potuto favorire i mafiosi. Nel suo atto d'accusa a Marcello Dell'Utri, il procuratore generale Gatto ha ricostruito quello che a suo dire si è configurato e «concretizzato come un patto di scambio fra Cosa nostra e Dell'Utri». Ha così ricostruito passo dopo passo l'iter legislativo aperto dal provvedimento con cui il governo presieduto da Silvio Berlusconi, ministro della Giustizia, Alfredo Biondi, tentò di varare nuove regole in tema di indagini sulla pubblica amministrazione, sulla corruzione e sulla custodia cautelare, che avrebbero riguardato pure gli imputati di mafia.
Il decreto, presentato a luglio del 1994, non venne convertito in legge entro il settembre successivo e decadde, dopo che era stato investito da una salva di critiche: contro la misura, definita «salvaladri» e approvata alla vigilia della semifinale mondiale Italia-Bulgaria, prese posizione anche il pool di Milano, di cui all'epoca faceva parte anche Antonio Di Pietro. Anche l'allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, dichiarò la propria contrarietà, dicendo fra l'altro di aver parlato «con alcuni magistrati in prima linea contro la mafia» e di avere «scoperto che questo decreto è diverso da quello che ci era stato prospettato la sera in cui lo abbiamo approvato».
In settembre furono ripresentate più o meno le stesse norme sotto forma di disegno di legge, su iniziativa della commissione Giustizia della Camera, allora presieduta da Tiziana Maiolo. Secondo la ricostruzione del pg, proprio negli ultimi mesi del 1994, vi fu il tentativo di inserire in questo ddl articoli di legge, in modo da rendere meno agevoli sia gli arresti dei mafiosi che il loro permanere in carcere. Il 22 dicembre del 1994 cadde il governo Berlusconi e nella legge poi approvata l'8 agosto del 1995 sotto il governo Dini (dopo il «ribaltone» che aveva portato al cambiamento di maggioranza in Parlamento) molti dei punti che stavano a cuore ai boss furono cancellati.