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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2010 alle ore 21:53.
LONDRA - Quando Venus Williams ha perso il suo quarto di finale contro la bulgara Tsvetana Pironkova, numero 82 del mondo, tutta Wimbledon ha tirato un sospiro di sollievo. Non perché gli appassionati dell'All England Club non amino la più grande delle due sorellone americane, che qui ha vinto tre volte. Anzi, si può dire che sia una delle star preferite del pubblico londinese, per il suo tennis e per la sua grazia, nella vittoria e nella sconfitta.
Semplicemente, non se ne può più delle finali Venus-Serena e quest'anno, con la maggior parte delle altre favorite già uscite dalla scena, lo scontro fratricida era una possibilità più che concreta. Il problema di queste finali in famiglia (a Wimbledon se ne sono già giocate quattro: nel 2002, 2003, 2008 e 2009, tutte, tranne quella di due anni fa, vinte da Serena) è che quasi sempre una delle due non se la sente quel giorno di dare addosso alla sorella e quindi accetta praticamente senza combattere la sconfitta.
A casa Williams arriva comunque il piatto della vincitrice, ma il pubblico pagante non è soddisfatto. Per di più, almeno nei primi anni, c'era il sospetto che a pilotare il risultato fosse Richard Williams, il padre-padrone delle due, che le ha tirate su a pane e racchetta sui campi pubblici assai poco salutari del sobborgo di Compton a Los Angeles, dove il mito racconta che ogni tanto gli allenamenti si dovessero interrompere per evitare le pallottole vaganti degli scontri fra le gang locali.
Fuori Venus, quindi, che però nel dopopartita ha negato di voler passare il suo tempo nelle sue ormai molte attività extratennistiche. Resta Serena, che ha spazzato via la cinese Na Li. Su di lei, i bookmakers hanno quasi smesso di prendere scomesse. Ma chi vuol puntare sulla Pironkova, o sulla ceca Petra Kvitova, o sulla russa Vera Zvonareva. In assenza di sua sorella, solo Serena può battere se stessa.