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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2010 alle ore 13:03.
Era il settembre del 2000. I giornali parlavano male del Grande fratello. Che orrore, signora mia. I luoghi comuni si sprecavano. Lo snobismo su quel primissimo esperimento di televisione capace di guardare da vicino le persone normali sembrava inarrestabile. Le pagine degli spettacoli dei quotidiani si erano trasformate in manuali di sociologia spicciola. Pietro Taricone era il bersaglio ideale dei radical chic. Si era presentato con atteggiamenti da bullo, con la canottiera, muscoloso, sciupafemmine, meridionale. Tutto troppo facile.
La cosa non mi convinse e cominciai a guardare su Stream la diretta 24 ore su 24 dalla casa del Grande Fratello. Alla fine del primo weekend, incantato dalla grandezza di Pietro Taricone, proposi al direttore del Foglio di scrivere un articolo in difesa del giovane ragazzo di Trasacco, provincia dell'Aquila. Due giorni dopo, su un quotidiano austero come il Foglio, quell'articolo è diventata una rubrica pubblicata ogni giorno sulla prima pagina col titolo di "Pietromania". Ero diventato il pietromaniaco ufficiale. La mamma di Pietro, la deliziosa signora Rita, mi cercò per ringraziarmi.
Pietro Taricone era l'esatto contrario di come l'avevano descritto. Era un ragazzo intelligente e dolce, saggio e colto ben al di sopra della media dei ragazzi della sua età e anche di molti giornalisti che lo disprezzavano per i suoi muscoli, ma in realtà perché rosi dal pregiudizio di classe. Chi lo aveva visto nella diretta Stream aveva subito capito che Pietro era di una classe superiore, che giocava col suo personaggio, che si divertiva a épater le bourgeois, a stupire i borghesucci dall'altra parte dello schermo e nelle redazioni. Pietro aveva studiato, sapeva di politica, giocava con la filosofia, era innamorato della storia, declamava canti partigiani, insegnava agli altri concorrenti e ai telespettatori i principi fondamentali dello stato di diritto. Senza essere noioso, senza nascondere la sua gioia di vivere, senza rinunciare a divertirsi e a divertire. Usava i muscoli per spiegare e il cervello per ammaliare, Pietro.
Tre mesi dopo, Taric li aveva stesi tutti. Quelli che per settimane avevano spiegato quanto fosse cafone e buzzicone scoprirono che non era così. Alla fine della trasmissione, qualche giornalista di Repubblica lo ha chiamato per dirgli che in redazione erano tutti suoi fan. Curzio Maltese, in un'intervista, lo ha paragonato a Norberto Bobbio. Fabio Fazio e Michele Santoro lo hanno contattato e non sono mancate le proposte di lavoro. Pietro però non c'è cascato. E' andato una o due volte in tv, e poi basta. Si era accorto che tutti avevano cominciato a tariconeggiare, a mostrarsi più Tariconi di Taricone, a far finta di essere come lui esattamente come negli anni Settanta gli intellettuali impegnati si vantavano di essere amici e sodali degli operai Fiat. Facevano i Tariconi di fronte a Pietro, ma Pietro rispetto a loro non era soltanto un Taricone vero, era anche di talento.