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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2010 alle ore 11:06.
Preoccupano le sanzioni previste per gli editori contenute nel disegno di legge sulle intercettazioni. A parlare è il Garante della privacy, Francesco Pizzetti, presentando, a Montecitorio, introdotto dal presidente della Camera Gianfranco Fini, i risultati 2009 sul fronte della tutela dei dati personali in Italia. Per Pizzetti si tratta di sanzioni che «comportano necessariamente un loro maggiore intervento rispetto alla pubblicazione delle notizie». Una scelta, ha aggiunto, che «costituisce una discontinuità significativa» rispetto ad altri Paesi di grande tradizione democratica, che pure concepiscono la libertà di stampa «come un diritto e un dovere degli editori non meno che dei direttori e dei giornalisti».
Nel disegno di legge sulle intercettazioni «si sposta oggettivamente il punto di equilibrio tra libertà di stampa e tutela della riservatezza, tutto a favore della riservatezza» e questo «può giustificare che da molte parti si affermi che, così facendo, si pone in pericolo la libertà di stampa». Alla vigilia della giornata di mobilitazione indetta per domani dalla Federazione nazionale della stampa, Pizzetti punta il dito contro il discusso provvedimento, pur sottolineando che la preoccupazione per la libertà di stampa presenta «un qualche eccesso», dal momento che la norma condiziona solo «la pubblicazione dei testi delle intercettazioni».
Peraltro, secondo Pizzetti, il ddl Alfano crea «una sorta di regime della libertà di stampa a due velocità, specialmente nel rapporto con il rispetto della riservatezza», intervenendo con le sanzioni penali solo sul fronte delle intercettazioni. Meglio sarebbe stato, invece, lasciare l'ultima parola alla magistratura e all'Authority della privacy, «eventualmente prevedendo piuttosto che il Garante senta, prima di decidere, i rappresentanti della stampa e degli editori». Pizzetti stigmatizza però anche gli «eccessi» compiuti dai giornalisti, pubblicando «intere pagine di intercettazioni sempre riferite alla politica o agli ambienti dello sport e dello spettacolo e quasi mai ai fatti di criminalità comune o organizzata, anche quando questi ingenerano grande allarme sociale». Un comportamento che «giustifica in parte il sospetto che spesso si abbiano a cuore più gli indici di vendita, gli share e la concorrenza fra le testate, che non l'oggettivo interesse dell'opinione pubblica».