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Veltroni a tutto a campo da Keith Jarrett a Fantozzi. Pensando al futuro del Pd

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2010 alle ore 08:16.

Capri - Walter Veltroni è arrivato al Punta Tragara di Capri, ospite delle Conversazioni con gli scrittori angloamericani ideata da Davide Azzolini e Antonio Monda, nella sua versione di saggista, romanziere e letterato. E solo in questa veste – più alta, priva di cenni polemici, sganciata dal teatrino della politica – accetta di parlare del futuro del suo partito, dell'impossibilità di intraprendere la via socialdemocratica al rilancio del Pd.

Veltroni si trova talmente a suo agio in questi panni di interlocutore culturale della scrittrice nigeriana Chimamanda Adichie e degli altri ospiti della rassegna caprese da respingere ogni domanda del Sole 24 Ore che sia di stretta attualità politica. Non c'è verso di farlo parlare direttamente di D'Alema o di Pierluigi Bersani, dell'accordo di Pomigliano o dello stato attuale del Pd. Non vuole partecipare al chiacchiericcio giornalistico che un giorno lo dà pronto a fare coppia con Nichi Vendola alle prossime elezioni politiche e un altro segnala il raffreddamento dei rapporti tra i due possibili candidati. «Ci sono, come in un celebre fumetto di Asterix, veri seminatori di zizzania che diffondono notizie false e poi ci credono anche – dice – Non vedo né sento Vendola dal giorno in cui sono andato in Puglia per la sua campagna elettorale».

Veltroni è meno attento a fare polemica quando c'è da criticare Silvio Berlusconi e il suo governo, in particolare per il caso Brancher, ma anche perché il premier, da proprietario di Mediaset, ha assunto a interim l'incarico di ministro delle Telecomunicazioni. I giudizi sul berlusconismo applicato ovviamente sono forti: «Una tragedia morale», «abbiamo perso la capacità di indignazione», «dove siamo arrivati?».

Non si riesce a cavargli nessuna notizia sul suo futuro. Veltroni dice di trovarsi bene dove sta, a occuparsi di mafia, dei misteri d'Italia e della scuola politica che ha appena aperto, anche se sospettosamente tiene a sottolineare che i sondaggi di popolarità sembrano premiare questo suo atteggiamento pacato, distaccato e riflessivo. E' una strategia precisa, quindi? «No, semplicemente sono fatto così – dice – Mi sottraggo, non partecipo a risse, a giochi, a duelli. Non mi sono pentito di essermi dimesso da segretario, anche se adesso si comincia ad apprezzare quel 34 per cento preso alle elezioni politiche».

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Veltroni dice che gli è piaciuto il nuovo disco di Keith Jarrett con Charlie Haden, di aver appena sentito uno straordinario concerto solistico di Danilo Rea. Cita a memoria brani dei film di Fantozzi e di Stanley Kubrick, racconta episodi della vita di Fellini, di Monicelli, di Risi. Parla di calcio e televisione e letteratura. Mischia cultura alta e bassa come non saprebbe fare nessun altro leader italiano, con l'eccezione forse di Silvio Berlusconi. Si cimenta in un distillato puro di veltronismo, una categoria politica originale capace di incantare, anche se non proprio tutti. Tra i suoi, infatti, c'è chi lo accusa di essere troppo pop, effimero, leggero. «No, non sono ‘leggero' – precisa – semmai cerco di essere lieve in un tempo pesante. Ho governato per sette anni, in una stagione di crescita per la città, una comunità di due milioni e seicentomila persone, sono stato un apprezzato ministro dei beni culturali. Ma non ho mai concepito la politica o, peggio, il potere come l'unica dimensione della mia vita. Ho dimostrato di saper fare altre cose. Ho rotto il paradigma di chi pensa che i politici non sappiano o non debbano fare altro. In realtà mi accusano proprio di questo, di saper fare altro».

Quando Veltroni torna a parlare di politica, di futuro del centrosinistra e delle battaglie intellettuali di questo secolo – di cose serie e pesanti, insomma – l'ex segretario Pd è altrettanto diretto, forse ancora più efficace nella critica ai compagni di partito che immaginano un nuovo percorso per il Pd rispetto a chi prova a buttarla in caciara: «La fine del Novecento ha fatto da spartiacque storico. Il mondo è cambiato sotto i nostri occhi con grande rapidità. Sono cambiati i soggetti sociali. Il mondo globalizzato si è trovato di fronte problemi inediti legati alla precarietà sociale e ai rapporti tra identità, culture, religioni. Sono emersi già nel Novecento temi estranei alla cultura della socialdemocrazia, come l'ecologia e il femminismo. Io credo che il Partito democratico sia nato per esprimere la ricchezza di una cultura democratica che non è né la somma delle tradizioni ex comuniste ed ex democristiane né l'assunzione tardiva di un'identità socialdemocratica che aveva un senso per i Ds, ma non più adesso. Abbiamo fatto nascere un nuovo partito perché sentivamo il bisogno di una nuova cultura. Questa cultura democratica esiste. Non va per negazione, non è democratico tutto ciò che non è socialdemocratico o popolare. La cultura democratica è storicamente solida, è una tradizione culturale forte, liberale, che ha nella storia del Partito democratico americano il riferimento più importante. Non è un caso che in questi anni di roll back della sinistra europea la vittoria più bella del centrosinistra, oltre a quella di Obama, sia stata quella del Giappone e del suo partito democratico.».

Veltroni non parla direttamente dell'elezione di D'Alema alla guida della Foundation for European Progressive Studies e del conseguente progetto di rifondazione della socialdemocrazia di cui hanno parlato i dalemiani. Ma, «con tutto il rispetto per la tradizione socialdemocratica europea», segnala che in Europa il numero dei governi di questo tipo si è ridotto: «Le identità socialdemocratiche hanno svolto una funzione importante, ma non sono più sufficienti a indicare quella originalità di pensiero politico post ideologico che oggi, dopo il 1989, finalmente può liberare le sue potenzialità senza bisogno di legittimazioni, giustificazioni e certificazioni che attenuano la sua spinta di cambiamento».

Il fondatore del Pd giudica una «fesseria» il dibattito sul partito "leggero", più consono al modello democratico da lui immaginato al Lingotto, e su quello "pesante", più tipicamente legato alla tradizione di un partito socialdemocratico: «Come è stato dimostrato, la nostalgia del partito degli anni Settanta è infondata, anche perché non c'è più la società degli anni Settanta. La società è cambiata, sono cambiate le forme del rapporto con la politica. Oggi la politica è un luogo di adesione più che di appartenenza. L'alternativa non è tra partito liquido e solido, ma tra partito aperto e partito chiuso. Il Pd non può prendere una strada che lo porti a negare la sua originalità. Il Pd ha una sua peculiarità. Siamo una cosa diversa rispetto ai partiti socialisti e socialdemocratici. Non so dire se migliori o peggiori, ma siamo diversi».

Questa diversità, conclude Veltroni prima di raggiungere sul palco la scrittrice nigeriana per parlare di letteratura e diritti umani, «non può essere negata, pena la messa in discussione dell'identità stessa del Pd. Nessuna persona ragionevole può pensare davvero di fare un'operazione di trasformazione della natura del Pd. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di fondarlo. Saremmo rimasti dove eravamo».

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