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La fiducia in Obama tocca il minimo

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2010 alle ore 08:24.

NEW YORK - Robert Gibbs, il portavoce di Obama, ha aperto un vaso di Pandora distruggendo all'istante l'apparente unità del Partito democratico davanti alle difficoltà della campagna elettorale: domenica, parlando alla rete Nbc, ha fatto dichiarazioni secondo cui i repubblicani avrebbero anche potuto «conquistare la maggioranza alla Camera alle elezioni di novembre». «È stato citare una semplice possibilità» ha detto Gibbs «nulla di più». Ma Gibbs ha confermato le sue dichiarazioni lunedì sera, e ha così alimentato il sospetto che Obama pensi soprattutto alla sua corsa elettorale del 2012 e non a quella del prossimo novembre che coinvolge i suoi compagni di partito. La vicenda è così rapidamente esplosa portandosi al centro del dibattito politico.

Anche perché sono usciti ieri dei sondaggi del Washington Post/Abc disastrosi per il Presidente: sei elettori su dieci dicono di non avere fiducia nella capacità di Obama di prendere le giuste decisioni per il paese. Il 54% degli interpellati è contraria alla gestione economica. E il 58% ha detto di non avere fiducia oppure di averne «solamente un po'» nel presidente, il livello più basso mai rilevato finora. Di più, in linea con Gibbs, il 51% degli interpellati vorrebbe un controllo repubblicano del Congresso, contro il 43% favorevole ai democratici. E il 62% degli intervistati vuole un cambiamento contro il 26% favorevole allo status quo. Si tratta dei peggiori risultati dal 1989.

Le dichiarazioni di Gibbs e i sondaggi hanno dato il destro ai repubblicani per sferrare un attacco frontale contro i democratici e la Casa Bianca. Hanno deriso il «nervosismo e la paura» dei loro avversari. La più feroce in assoluto è stata la deputata repubblicana del Minnesota Michele Bachman, un esponente della destra repubblicana, la quale ha lanciato contro l'amministrazione un missile politico: «Obama sta trasformando la nostra nazione in una nazione di schiavi. Casa Bianca, Camera e Senato hanno esercitato una tirannia quando hanno imposto la riforma sanitaria e altre riforme inaccettabili per i nostri canoni di libertà», ha detto sfoderando quel tipo di retorica che infiamma e mobilita la base conservatrice del partito repubblicano.

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Osservazioni comunque non di ottimo gusto, visto che alla Casa Bianca siede un presidente afroamericano con una moglie, Michelle, che discende da schiavi. Ma oltre a questo Obama e i suoi hanno dovuto registrare una presa di distanza da parte dei loro stessi compagni di partito, sia per le dichiarazioni di Gibbs che per le scelte sull'immigrazione. «Non credo vi sia molto realismo nelle dichiarazioni che anticipano il rischio di una perdita della nostra maggioranza» ha detto il presidente della Camera Nancy Pelosi durante un comizio a San Francisco. E Stephen Hoyer, capo della maggioranza ha detto che «i democratici non perderanno la Camera al voto del prossimo novembre: ci sono molti seggi in gioco, può darsi, ma il fatto che ci sia una partita aperta non si traduce neppure nella più vivida immaginazione in una ipotetica perdita della nostra maggioranza alla Camera».

Gli altri attacchi all'amministrazione sono giunti dalla conferenza dei governatori democratici. Ci sono ben 19 governatori democratici in corsa a novembre. Per loro la denuncia di Obama contro il governatore repubblicano dell'Arizona per aver adottato leggi durissime contro l'immigrazione è stata un passo falso. Anche perché la maggioranza degli americani è favorevole alla linea dura dell'Arizona. «Avrei agito in un altro modo e avrei scelto un altro momento per criticare l'Arizona», ha dichiarato ad esempio il governatore del Colorado Bill Ritter Junior. «Avrei aspettato che la legge entrasse in vigore e che i cittadini notassero le difficoltà di attuarla, prima di fare causa».

Per un cambiamento di maggioranza i repubblicani dovrebbero vincere a novembre la bellezza di 39 nuovi seggi a scapito dei democratici. Secondo un'analisi di passate votazioni, uno swing un passaggio di 25-30 voti è possibile, ma aggiungere quei nove seggi per arrivare a 39 è considerata dagli esperti statistici in materia elettorale un'impresa quasi impossibile. Perché dunque Gibbs avrebbe offerto il fianco al nemico e indirettamente ai compagni di partito? Per diminuire le aspettative di media e opinione pubblica. Il presupposto è che i repubblicani vinceranno molti seggi. Ma la misura del loro successo, guardando al 2012, a questo punto si confronterà non più con la semplice vittoria di nuovi seggi, ma con quella della maggioranza. E se non ce la faranno allora i democratici avranno raggiunto il loro obiettivo di difendere la maggioranza. Un ragionamento troppo sottile ed egoista dicono i candidati democratici, per chi si trova schierato sul fronte caldissimo e difficile che porta all'appuntamento di novembre.

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