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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2010 alle ore 11:36.
«L'Occidente, l'Europa, l'Italia possono giocare un ruolo importante per un Iran più democratico. Ma ultimamente i vostri pensieri vanno solo al petrolio e alla minaccia nucleare. Dovreste, invece, concentrare gli sforzi sulla tutela dei diritti civili. In questi giorni una giovane donna, Zainab Jalajan, per il solo fatto di essere un'attivista politica, rischia la pena capitale. Ecco: scrivete di lei, non di petrolio». Shirin Ebadi parla con calma, senza tentennamenti. Il premio nobel per la pace iraniano, ospite a Genova per la Settimana internazionale dei diritti, guarda dritto negli occhi il suo interlocutore. Non in segno di sfida, tutt'altro (Guarda l'intervista in video).
Semplicemente, esprime le proprie idee con fermezza. Una forza conquistata, e messa a dura prova, in tanti anni di battaglie e di lotte per i diritti civili in Iran. A partire da quel lontano 1979, anno della rivoluzione islamica, quando fu costretta ad abbandonare l'incarico di giudice a Teheran solo perché donna. «Dopo la rivoluzione – ricorda – sono state approvate diverse leggi discriminatorie contro le donne: la loro vita, nei fatti, vale la metà di quella di un uomo. Se io e mio fratello, per esempio, siamo vittime di un incidente, il risarcimento riconosciuto a lui è il doppio; la testimonianza di due di noi, poi, è equiparata a quella di uno solo uomo; un uomo che può avere quattro mogli e ripudiarle quando vuole senza motivo».
Eppure, nelle manifestazioni contro la ri-elezione di Ahmadinejad abbiamo visto moltissime ragazze in prima fila. Immagini che hanno stupito molto in Occidente...
L'Iran è un paese dove oltre il 65% degli studenti sono donne con un'istruzione più elevata rispetto a quella dei ragazzi. Votiamo da più di 50 anni, da più tempo della Svizzera, e abbiamo 13 rappresentanti in parlamento. Non accettiamo le norme discriminatorie come non accettiamo l'attuale regime. Le donne sono scese in piazza con il movimento verde per lottare, e combatteranno sempre.
Subito dopo le elezioni, con i moti di piazza, il cambiamento sembrava a portata di mano. Poi, l'onda verde è un po' scomparsa. Molti ricordano che Moussavi è stato primo ministro durante la terribile guerra con l'Iraq: lui rappresenta veramente il cambiamento?