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Stallo allo sviluppo economico. Bloccati i pagamenti degli aiuti alle imprese

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:04.

Abolire o riformare gli aiuti alle imprese? Il dibattito tra i superesperti di politica industriale non passa mai di moda ma non appassiona più di tanto chi, dopo averli ottenuti sulla carta, non ha ancora ricevuto un soldo.
Fioccano lettere ed e-mail di protesta di aziende che sollecitano il ministero dello Sviluppo per sbloccare pagamenti e avviare strumenti per ora solo annunciati. Lo stallo di un dicastero che ha perso il titolare da oltre due mesi (le dimissioni di Scajola risalgono ormai al 4 maggio) ha esasperato una difficoltà già esplosa con gli scontri interni tra la direzione incentivi e le altre strutture tecniche del dicastero.

La lettera inviata da oltre 140 imprese a Berlusconi, premier e ministro ad interim, sui ritardi del programma Industria 2015 (si veda Il Sole 24 Ore del 17 luglio) è solo una goccia nell'oceano. Il vecchio armamentario delle agevolazioni destinate prevalentemente al Sud – legge 488, patti territoriali, contratti d'area – è finito da tempo nel cassetto e non vengono emanati nuovi bandi. Scelta saggia si dirà vista l'opacità di quegli strumenti e l'inefficacia dei risultati, se non fosse che il nuovo arsenale per ora esiste solo su carta, burocraticamente congelato negli uffici ministeriali.

Era il 5 gennaio quando l'allora ministro Scajola lanciava i nuovi «contratti di innovazione» che avrebbero «attivato investimenti per due miliardi». Perso il ministro, il nuovo meccanismo di aiuto non è mai decollato. Idem per i contratti di sviluppo, presentati nel 2009 (con la legge sviluppo) come rivoluzione dell'ormai desueta contrattazione di programma ma ancora in attesa del decreto attuativo.

Non che per i vecchi contratti di programma le cose vadano meglio. Anzi. La Svimez calcola che i 95 contratti approvati nel periodo 2000-2006 hanno visto, al 31 dicembre scorso, erogazioni per 1.164 milioni su un contributo pubblico complessivo di 3.758 milioni. Nell'arco del 2009 sono stati sbloccati in tutto solo 74 milioni. Una ventina di contratti, già finanziati con oltre 500 milioni, sarebbero giacenti.


Nel 2008 la disciplina è cambiata – con estensione dei contratti di programma a tutto il territorio nazionale – ma è come se non fosse mai avvenuto: lo scorso 6 luglio, ha comunicato Invitalia, l'agenzia che gestisce le procedure, «a seguito della carenza di disponibilità di risorse finanziarie il ministero dello Sviluppo economico» ha sospeso le domande per contratti in Abruzzo, Molise e regioni del Centro-nord. Bilancio magro anche per i contratti di localizzazione, strumento ancora limitato al Mezzogiorno, finalizzato ad attrarre investimenti dall'estero.

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Tags Correlati: Abruzzo | Aiuti alle imprese | Invitalia | Ministero dello sviluppo economico | Ministero del Tesoro | Molise | Scajola | Sud | Svimez

 


Nel 2009 sono state bloccate nuove deliberazioni mentre degli 11 contratti attivati dal 2003, su agevolazioni per 216 milioni, si registrano erogazioni per meno di un terzo: 68 milioni.
Languono i numeri ma non se la passano bene nemmeno le idee. Perché la riforma complessiva del sistema incentivi, prevista dalla legge sviluppo 2009, è stata rinviata a data da destinarsi. Bozze differenti, maturate all'interno dello stesso ministero, sono state rispedite al mittente dal Tesoro che, con la poltrona di Scajola vacante, ha preferito soprassedere e studiare daccapo il dossier.

Ma non è tutto. Le "zone franche urbane" coniate dall'ex ministro di via Veneto sono diventate "zone a burocrazia zero" e hanno smarrito la parte considerata dai comuni più efficace per attrarre nuove imprese, cioè le esenzioni fiscali.

Intanto la manovra si è proiettata in avanti introducendo una prima forma di fiscalità di vantaggio in vista del federalismo fiscale. Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia potranno modificare le aliquote Irap, ma dovranno sopportare il calo di gettito che ne deriverà. Impossibile però non chiedersi, visti i tagli imposti dalla manovra e l'esplosione del deficit sanitario in alcune di queste regioni, se davvero i governatori oseranno abolire l'imposta.

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