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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2010 alle ore 19:08.
Non passa giorno ormai dentro il Pdl senza che qualcuno lo evochi. Considerandolo il naturale approdo per chi, come il finiano Fabio Granata, vicepresidente dell'Antimafia, avrebbe denigrato ingiustamente, a detta dei suoi accusatori, l'operato del sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano. Peccato, però, che il collegio dei probiviri, il tribunale a cui molti pidiellini vorrebbero affidare le sorti di Granata, esista in verità solo sulla carta. O meglio solo sul verbale del congresso fondativo del Pdl del 29 marzo 2009. Poi più nulla. Tanto che dei nove giudici del partito non v'è traccia nemmeno sul sito web del Pdl.
Eppure nelle trenta pagine dello statuto la composizione e i compiti del collegio sono descritti minuziosamente. A cominciare dai requisiti di chi ricopre un ruolo cruciale perché il probiviro deve essere un socio che abbia almeno 40 anni di età e che non abbia incarichi di partito. Sarà per questo che alcuni dei nomi risultano sconosciuti ai più. Sebbene anche qui ci sia stata una rigorosa applicazione di quel 70/30 in base al quale sono state suddivise tutte le poltrone nel partito e nel governo.
Indagando si scopre che tra i sei componenti designati da Forza Italia non tutti sono volti celebri. Noto è sicuramente il filosofo Vittorio Mathieu, già presidente dei probiviri azzurri e tra i fondatori di Forza Italia. Come pure l'ex ministro dei Beni culturali, Giuliano Urbani, e l'ex sottosegretario all'Economia Maria Teresa Armosino. E ancora Guido Possa, amico fraterno del premier, ex Fininvest e poi approdato in Parlamento nel 1996. Meno famosi sono invece gli altri due componenti in quota Forza Italia: Francesco Paolo Sisto, avvocato penalista vicino al ministro Raffaele Fitto e il legale Gianluigi Cella (che, insieme a Mathieu e ad Armosino, ricopriva lo stesso incarico già in Forza Italia). E non sono certo assai conosciuti i tre membri indicati dall'ex An: Francesco Tofoni, che i rumors parlamentari danno vicinissimo a Ignazio La Russa, Sergio Gallo, magistrato ed ex capo di gabinetto del sindaco di Roma Gianni Alemanno e l'avvocato Marsilio Casale.
Fin qui l'identikit del collegio che finora non è mai stato convocato. Anche se l'iter è piuttosto semplice: basterebbe una richiesta scritta di qualsiasi associato del Pdl per far partire il procedimento disciplinare davanti al collegio. Nessuno, però, fino a questo momento ha preso carta e penna per chiedere di "processare" Granata. Forse perché il funzionamento non è poi così chiaro. Se è vera la reprimenda pronunciata oggi dal viceministro Adolfo Urso. «Mi sembra curioso e paradossale che proprio Giuliano Urbani dica che i provibiri debbano giudicare le incompatibilità culturali di chi la pensa diversamente dalla maggioranza. Semmai devono giudicare le azioni, non certo le opinioni». E, in effetti, tra le competenze del collegio non c'è traccia alcuna di un giudizio sulle incompatibilità culturali. Ça va sans dire.