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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2010 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 26 luglio 2010 alle ore 08:03.
Dato numero uno: nel federalismo fiscale la finanza «derivata», figlia dei trasferimenti statali (e regionali), non è più ammessa, e gli assegni che ogni anno arrivano dal centro si devono «fiscalizzare», cioè trasformarsi in tasse locali.
Dato numero due: i trasferimenti statali da «fiscalizzare», per ovvie ragioni di riequilibrio, puntano soprattutto nelle regioni meridionali, dove anche le basi del futuro fisco municipale (essenzialmente il mattone) sono più povere. Incognita: i comuni del Mezzogiorno, che hanno basi imponibili più modeste ma devono trasformare in tasse valori più consistenti, come faranno a centrare l'obiettivo senza alzare al massimo le aliquote?
Il problema è serio, e finora inedito. A porlo per la prima volta, alla vigilia del decreto sull'autonomia fiscale dei comuni che dovrebbe vedere la luce prima della pausa estiva, è il rapporto annuale sul «quadro finanziario dei comuni» presentato giovedì scorso dall'Ifel, l'istituto per la finanza locale dell'associazione dei comuni. La fonte è «istituzionale», visto che l'Ifel è stato anche chiamato a collaborare con la Sose per la definizione dei fabbisogni standard dei comuni, e il rebus merita attenzione perché entra nel cuore della riforma: «Eccessi di semplificazione non sono permessi – avvertono i tecnici della finanza locale -, pena il grave rischio di fallimento dell'intero processo». Partiamo dai numeri.
I trasferimenti statali da trasformare in tasse locali valgono in media 296 euro pro capite. In Campania, però, la somma assegnata per ogni residente sale a 376 euro (il 27% in più), in Basilicata si attesta a 349 e in Molise e Calabria a 334, mentre in Veneto sprofonda a 232 euro e in Lombardia a 253. Lo squilibrio diventa ancora più evidente se si confronta l'aiuto statale con le «risorse proprie» dei sindaci nei vari territori: al Nord-Ovest arriva un assegno di valore pari al 39% di quanto i comuni raggranellano con tributi e tariffe, al Nord-Est il rapporto è al 31% mentre a Sud il valore schizza al 70 per cento. Più equilibrata sul territorio è la distribuzione degli indennizzi per compensare gli enti locali dell'Ici abolita sull'abitazione principale, ma questa voce vale solo il 30% dei 13 miliardi di euro statali da trasformare in tasse locali nelle regioni a statuto ordinario. In soldoni, i comuni settentrionali devono «fiscalizzare» 258 euro a cittadino, mentre in quelli del Sud si arriva a 311 euro, il 20% in più.