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Il Pdl si spacca. Berlusconi vede Bossi. Fini parla alle 15. Nome del gruppo? Futuro e libertà per l'Italia

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 20:24.

Dopo le decisioni di ieri dell'ufficio di presidenza del Pdl, con tre finiani deferiti ai probiviri e un durissimo documento contro il presidente della Camera e i suoi sostenitori, oggi è la giornata della risposta di Gianfranco Fini. E' attesa una conferenza stampa alle 15, mentre i finiani del Pdl si preparano a costituire gruppi autonomi nei due rami del Parlamento. Ancora incerta l'entità delle due nuove componenti parlamentari. Secondo le prime ricostruzioni del Sole 24 Ore, i finiani potrebbero essere 34 alla Camera e 10-14 al Senato. L'opposizione chiede che il premier Berlusconi riferisca in Parlamento. Il Pdl risponde: no, è solo dialettica interna. Per il nome del nuovo gruppo dei finiani la scelta sarebbe ricaduta su Futuro e libertà per l'Italia. Intanto Berlusconi ha incontrato Umberto Bossi ed escluso cambi nella squadra di governo.

La giornata di ieri fino all'affondo di Berlusconi: Fini lasci la presidenza della Camera

«Le posizioni dell'on. Fini sono assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l'attività politica» del partito. Lo dice il documento approvato dall'ufficio di presidenza del Pdl, nel quale si precisa che a fronte di tali comportamenti «viene meno anche la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di Presidente della Camera». L'ufficio condivide la decisione del comitato di coordinamento di deferire ai probiviri gli onorevoli Italo Bocchino, Fabio Granata e Carmelo Briguglio.

Ma Gianfranco Fini non ci sta. La presidenza della Camera non è nella disponibilità del presidente del Consiglio, io non mi dimetto, avrebbe detto parlando con i suoi e commentando le pressioni che arrivano dal partito e dal premier per le sue dimissioni. Domani terrà una conferenza stampa per rispondere a quanto accaduto.

I finiani presenti hanno votato contro e hanno chiesto ventiquattro ore di tempo prima di arrivare alla rottura, ma la richiesta non è stata accolta. La proposta di rinviare voto e decisione è stata avanzata, durante la riunione, dal ministro della Gioventù, Giorgia Meloni. Un tentativo che il finiano Pasquale Viespoli definisce «generoso» ma la richiesta è stata votata solo da quattro esponenti, i tre finiani più il ministro Meloni. Alla fine sono stati 33 i voti favorevoli al documento approvato, 3 i contrari: Urso, Viespoli, Ronchi.

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È stato approvato un unico emendamento, proposto dal coordinatore e ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Che ha introdotto le parole «allo stato» nel capoverso finale del documento, quello più duro nei confronti di Gianfranco Fini. Si legge: «viene meno allo stato anche la fiducia del Popolo della Libertà nei confronti del ruolo di garanzia di presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni».

Negli stessi momenti in cui Silvio Berlusconi comunicava il contenuto del documento, il presidente della Camera partecipava alla riunione della capigruppo a Montecitorio per decidere sul ddl intercettazioni. Terminata la capigruppo Gianfranco Fini non ha voluto fare nessun commento. È andato via velocemente tornando nel suo studio

Un gruppo esterno al Pdl ma che appoggia la maggioranza. Sarà questo l'epilogo dello scontro in atto. I finiani sono pronti a costituire gruppi autonomi alla Camera e al Senato. A Montecitorio le sottoscrizioni pronte sarebbero 34, poco più di una decina al Senato, compresi Adriana Poli Bortone e Giovanni Pistorio. Pronti al salto anche la maggior parte dei finiani membri del governo, come Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Roberto Menia, Antonio Bonfiglio. Le lettere di dimissioni dal gruppo parlamentare del Pdl a Montecitorio sono già state firmate. E sono ora nelle mani del presidente della Camera.

«Abbiamo tutti ritenuto che il Pdl non potesse pagare il prezzo troppo alto di mostrarsi un partito diviso» ha detto il premier Silvio Berlusconi rispondendo in conferenza stampa a chi chiedeva se la nascita di gruppi finiani non sia un prezzo troppo alta da pagare per la maggioranza.
«Non sono più disponibile - ribadisce il premier - ad accettare una forma di dissenso nel partito» che si esplica «come una vera e propria opposizione, con tanto di organizzazione e un vero e proprio partito nel partito, pronto a dar vita ad una aggregazione politica alternativa al Pdl».

Prima dello show down i finiani avevano messo gli ultimi paletti. Per evitare la rottura sarebbe stato necessario ripartire nel dialogio dai punti che Gianfranco Fini ha indicato nella sua intervista a Il Foglio di Giuliano Ferrara: la convocazione degli stati generali per l'economia, la definizione di un codice etico, l'azzeramento delle cariche di partito, l'aggiornamento del programma dell'esecutivo e la creazione di una commissione interna per verificare i conti del federalismo fiscale.

Ci saranno iniziative del Pdl perché Gianfranco Fini lasci la presidenza della Camera? Chiedono i cronisti al presidente del Consiglio. «Lasciamo che siano i membri del Parlamento ad assumere iniziative al riguardo», risponde Silvio Berlusconi.
Ma l'opposizione guarda oltre. «Questa è una crisi. Berlusconi venga in Parlamento», dice il segretario Pd, Pier Luigi Bersani. «Non abbiamo votato Fini ma dal momento in cui è stato eletto è il Presidente di tutta la Camera, anche dell'opposizione», precisa Dario Franceschini.

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