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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 17:30.
I leghisti continuano a considerarla quasi una sagra di provincia. Ma la dieci giorni di balli e comizi che partirà domani ad Alzano Lombardo, nel cuore della bergamasca, è diventata con gli anni qualcosa di più. Tanto che la «Bèrghem Fest» con i suoi 21 anni di storia rivaleggia ormai con gli appuntamenti più famosi del Carroccio, dal raduno di Pontida ai discorsi di Ponte di Legno. Prova ne è che il leader della Lega, Umberto Bossi, qui è di casa e dal palco seriano ha lanciato molte delle battaglie che hanno fatto il successo elettorale e politico del Carroccio.
Un legame strettissimo e assolutamente non casuale. Perché Bergamo continua a essere la roccaforte dell'elettorato leghista. Ma anche la terra che, solo qualche mese fa, lanciò, in mezzo alle polemiche, un nuovo vessillo per la provincia, con sfondo verde (colore caro al Senatur e ai suoi) sotto il tradizionale stemma orobico (un'aquila nera "incoronata" e il cervo d'oro che salta) e la scritta "Bèrghem", Bergamo in dialetto. Una bandiera voluta fortemente dal presidente della provincia, Ettore Pirovano, leghista doc.
E per capire quanto sia importante per il Carroccio questo appuntamento agostano basta scorrere il programma di quest'anno. Che vedrà giungere qui, oltre al Senatur, anche lo stato maggiore della Lega (i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni), ma soprattutto il titolare dell'Economia, Giulio Tremonti. Una ulteriore conferma del sodalizio ormai consolidato tra Umberto e Giulio. L'intervento di Bossi è previsto per sabato ed è probabile che il leader della Lega colga l'occasione per ribadire la linea del Carroccio: niente governissimi, ma solo il voto se questa maggioranza dovesse venire meno. D'altro canto, se si ripercorre a ritroso la storia di questa manifestazione un dato sembra emergere su tutti: da qui Bossi e i suoi hanno fatto partire molte delle loro sfide.
Fu sul palco del Bèrghem Fest che, nel 2009, il Senatur diede la carica alla sua gente assicurando «uno scatto finale se non arriverà il federalismo e le cose non cambieranno». Mentre il suo braccio destro Roberto Calderoli rivendicava la «matrice cattolica» del movimento e Bossi annunciava poi «che io e Calderoli andremo insieme in Vaticano per ricordare le nostre radici cristiane». E fu sempre qui che, l'anno prima, il ministro delle Riforme spiegò che non avrebbe lasciato la politica «finché il Nord non sarà libero, non sarà una terra libera» chiamando la gente del Carroccio al lottare per la riforma federalista. «Voglio che il Nord porti giù a Roma almeno mezzo milione di uomini».