Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 15:41.
REGGIO CALABRIA. Sotto casa la bomba della Santa – massì, la ‘ndrangheta come la chiama davvero chi ne fa parte, sgarrista o trequartino che sia – Salvatore Di Landro l'ha fatta esplodere a metà dicembre 2009: quando è stato nominato procuratore generale presso la Corte d'appello di Reggio Calabria.
Secondo molti osservatori, fino a quel giorno quella postazione era stata una terra di nessuno, buona ad alimentare veleni (vedi il recente trasferimento per incompatibilità ambientale del sostituto pg Francesco Neri, che in anticipo di 30 anni firmò la prima inchiesta sulle "navi dei veleni") o a sfrondare le condanne inflitte ai mafiosi in primo grado.
Certo, Di Landro (al quale il Comitato per l'ordine e la sicurezza ha subito potenziato la scorta) la testa non la piegherà: «Questo atto mi spinge solo a fare il mio lavoro sempre con la massima determinazione. Sono sereno ma, al tempo stesso, indignato per una reazione del crimine organizzato che – evidenzia – non doveva poter avere luogo». La persecuzione ai suoi danni ha inizio il 3 gennaio di quest'anno: a pochi giorni dall'insediamento, la ‘ndrangheta gli fa sapere come la pensa sull'espletamento del suo mandato, piazzando un serio ordigno – per fortuna inesploso – davanti agli uffici che ospitano la Procura generale, nel cuore della città.
Quattro giorni dopo, la vigilanza delle forze dell'ordine è massima e l'attentato provoca un diluvio d'iniziative istituzionali e attestati di solidarietà, dalla visita in Procura del segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani all'arrivo a Reggio Calabria di una delegazione del Csm.
Questo disturba i business della ‘ndrangheta, che opta per un diversivo. Il 7 gennaio scoppia la rivolta degli extracomunitari a Rosarno: le cosche Pesce e Bellocco fomenteranno la reazione violenta dei rosarnesi finché gli africani – sfruttati come agrumicoltori alla stregua di schiavi, nell'indifferenza generale – saranno cacciati via. Forze dell'ordine e media nazionali si concentrano su questo, il caso-Reggio pare dimenticato anche se, durante la visita nel capoluogo di Giorgio Napolitano, qualcuno "dimentica" sul percorso del presidente un'auto piena d'armi.