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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 15:30.
E se fosse l'ultima volta che parla? A Rimini Sergio Marchionne non si è spostato di un millimetro. L'educazione istituzionale è l'educazione istituzionale. E, se il Quirinale interviene nella vicenda dei tre operai di Melfi, la risposta è consona: «Accetto le parole del presidente Napolitano come un invito a trovare una soluzione». Per il resto, in un clima di simpateticità ciellina sancito da 21 applausi e da un semisequestro finale con tanto di grida anonime: «Sei la nostra diga! Faremo un'altra marcia dei quarantamila!», Marchionne ha scelto di restare fermo sulle sue posizioni: l'Italia come una parte del problema, la dimensione locale, la competizione globale, l'etica della responsabilità, il cambiamento come sfida per gli individui e per gli organismi industriali complessi.
Non ha parlato a braccio, ma ha letto un discorso. Fissati i termini del problema, ha tracciato una ipotesi di soluzione e ha prospettato nei fatti un cambiamento culturale radicalmente anticonsociativo, che nulla centra con la pratica italiana in cui il potere non si esercita ma si spartisce. Il capitale faccia il capitale. Il lavoro faccia il lavoro. I sindacati tutelino i diritti ma non proteggano i sabotaggi. Il management gestisca. Fino a qui sì, oltre no. Il che vale per tutti. Tutto questo detto con un pronunciamento serio, quasi felicemente lugubre. Ora tutti si aspettano la prossima mossa del giocatore Marchionne. E se le chiacchiere, a questo punto, stessero a zero? Non stupirebbe che, alla prossima mano, facesse un semplice annuncio: ho dato mandato ai miei collaboratori di spesare la prima quota dei 20 miliardi di euro, oppure ho dato mandato ai miei collaboratori di predisporre la riduzione dell'impegno in Italia.
«Fiat non venderà Alfa», dice Marchionne. Bene i conti, probabile il rialzo dei target