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Fini da Mirabello: il Popolo delle libertà non c'è più, un nuovo patto per proseguire la legislatura

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2010 alle ore 21:51.

Il Pdl non c'è più, è finito il 29 luglio in quella riunione di due ore dell'ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli che ha deciso la sua espulsione dal partito, che aveva contribuito a fondare. Gianfranco Fini però non si ritira "in convento". Oggi a Mirabello è nato un nuovo leader del centrodestra italiano. In una piazza divisa tra anziani nostalgici missini e molti giovani "normali" in jeans e scarpe da tennis, Fini ha spiccato il volo e con lui Futuro e Libertà, che formalmente non è ancora un partito, ma che nella sostanza ne ha già tutti i connotati.

Questo però si sapeva già. L'essenza innovativa del suo discorso è nella sfida che pone al premier e all'intera maggioranza. Nel chiedere il totale rispetto del programma elettorale «senza dimenticarne alcune parti» servite «a riempire le piazze in campagna elettorale», ma poi finite nel dimenticatoio e sostituite da altre che non erano previste (chiaro il riferimento al processo breve). Fini dice che gli italiani, a partire dagli elettori del centrodestra, sono stanchi di una politica che non si occupa dell'interesse nazionale, che non sceglie o che lo fa solo per convenienza.

Parla di riforme, da quella della giustizia, compreso il sì al lodo Alfano, al federalismo. Ma al primo punto dell'agenda politica, Fini mette l'economia, la competitività delle imprese (ne stigmatizza l'assenza nei 5 punti berlusconiani, citando la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) del sistema Italia e dei lavoratori. Dice che il governo ha fatto bene, ma non abbastanza. Che è il momento delle scelte, che i tagli lineari non sono più accettabili perché non si possono mettere sullo stesso piano gli sprechi e le risorse destinate alle forze dell'ordine, alla scuola e alla ricerca, alle infrastrutture.

Ma perché le scelte si possano realizzare occorre il confronto, «nessun cambio di campo», ha detto perentorio, ma d'ora in poi nella maggioranza non ci saranno più solo due componenti a decidere, bensì tre: Pdl, Lega e Futuro e Libertà. Quello che non è stato possibile all'interno del Pdl, Fini lo impone adesso dall'esterno. Non ci sono complotti o congiungiure: Berlusconi, ha detto, «ha il diritto e il dovere di governare». Questa è la sfida.

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È un discorso ambizioso. Di chi punta non a riservarsi un posto di seconda fila. Il leader di Futuro e Libertà parla non a una parte del paese, alla destra ereditata da An, ma guarda ben oltre. Da oggi comincia inevitabilmente una nuova fase, nella quale Fini entra da protagonista e non più da comprimario. Pronto a discutere con tutti, da Bossi a Tremonti e anche con l'opposizione, ma, per usare le sue parole, «senza genuflettersi» di fronte a nessuno. A partire dal Cavaliere. Ora sta a Berlusconi decidere se accettare la sfida e quindi legittimare una maggioranza a tre, come più di qualcuno in questi giorni gli ha suggerito (vedi Confalonieri) oppure rompere, andare al voto. Ma quest'ultima opzione dopo il discorso di oggi, dopo che Fini ha detto pubblicamente di essere pronto a votare un salvacondotto per il premier, sia pure non attraverso il processo breve, dopo aver inviato a Bossi messaggi rassicuranti sull'attuazione del federalismo - che però «non può essere realizzato ai danni del Sud» e di cui si farà garante il senatore Mario Baldassarri in "bicameralina"- e riproposto le aperture del ministro dell'Economia all'opposizione per una collaborazione finalizzata al rilancio del paese, è per il premier non facilmente perseguibile.

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