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Economia Politica economica

Prove di confronto anche con Bertinotti

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2010 alle ore 08:06.

Il ministro Tremonti arriva per primo. È senza giacca, ma non per mancanza di rispetto nei confronti del suo invitato. È per segnare l'atmosfera informale, come una chiacchierata tra vecchi amici. E infatti quando Fausto Bertinotti, ex sindacalista Cgil, ex leader di Rifondazione Comunista ed ex presidente della Camera nell'ultimo governo Prodi, arriva, Tremonti lo accoglie con un caloroso sorriso. I due si abbracciano, si danno reciproche pacche sulle spalle.

È stato Tremonti a invitare Bertinotti a quella che pomposamente il workshop The European House - Ambrosetti chiama «conferenza stampa». Sarà piuttosto un incontro-dibattito tra due politici pesanti, notoriamente di vedute opposte su molti temi, che hanno deciso di confrontarsi pubblicamente su un argomento impegnativo come "democrazia e capitalismo". Senza sferrarsi colpi bassi, tanto che il moderatore non servirà.

«Fair play», premette Tremonti. Quasi fosse una prova generale di un dialogo ricercato in altre sedi con l'opposizione. In un mondo che cambia, i due condividono subito che la globalizzazione e lo spazio virtuale su internet si pongono come sfide per la democrazia. Bertinotti prende le distanze quando avverte che in Italia con qualunque tipo di governo è in atto «la demolizione della democrazia parlamentare» e che in Europa il fatto che i governi propongano le decisioni come "necessità" strangola la democrazia. Il ministro prima ironizza, si immaginava un Bertinotti «a difesa del comunismo, non della democrazia».

Poi concede: «abbiamo sì un problema di democrazia da conservare e da costruire nel nuovo spazio geografico, quello della globalizzazione, e dello spazio virtuale sul web». Ma precisa che non condivide il timore di catastrofi come "la morte della democrazia" prevista dall'ex leader di Rifondazione, e si dichiara per contro ottimista «che alla fine la democrazia resta». Bertinotti scuote la testa. Sul capitalismo, è scontro ma non frontale. Per Bertinotti questa nuova forma di capitalismo «tende a divorare la democrazia», mentre Tremonti tesse le lodi del «vecchio capitalismo liberale» e critica aspramente «il capitalismo degli hedge fund, quello istantaneo, bed&breakfast».

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Tags Correlati: Bossi | CGIL | Comunione e Liberazione | Fausto Bertinotti | Fiat | Italia | Milan | Partiti politici | Partito della Rifondazione Comunista | Prodi | Tremonti

 

Il dibattito vola alto ma sono le domande provocatorie dei giornalisti a riportare i duellanti in terra. Con chi non si capacita che vi sia troppa sintonia di vedute tra i due, Tremonti un po' stizzito si riconosce favorevole a questo tipo di toni, «una discussione civile non necessariamente opposta». «Non mi stupisce - dice il ministro - se su alcune cose siamo della stessa idea». Entrambi a un certo punto sentono la necessità di rimarcare il proprio territorio ma senza prendersi sul serio. «Se ci fosse Berlusconi - scherza Tremonti - direbbe: 'Fausto sei del Milan, hai lasciato il comunismo. Vieni con noi'». Per il ministro, anche Bossi condividerebbe questo modo civile di dialogare. Altrettanto fa Bertinotti: «Tremonti e io non la pensiamo allo stesso modo», rassicura la platea.

Anche sul terreno scivoloso del lavoro e del diritto di sciopero prevale il fair play. Tremonti ricorda quanto già detto al meeting di Rimini di CL: «se hai i diritti perfetti nella fabbrica perfetta il rischio è di conservare i diritti ma delocalizzare la fabbrica». Ricorda che il tessuto industriale italiano è fatto soprattutto di aziende con 10-50-100 dipendenti e in quei casi il rapporto tra operai e padroni è meno conflittuale. Bertinotti lo asseconda, spiega che nelle piccole imprese la condivisione degli obiettivi mette a riposo il diritto allo sciopero. Tremonti auspica allora «una riflessione nuova su come adattare il nostro impianto di diritti a un mondo che è cambiato». E puntualizza, in riferimento alla nota vicenda dei tre operai Fiat: «se fosse vero che gli operai hanno bloccato la catena, questa non è la forma giusta di sciopero», conquistando il consenso di Bertinotti che concede «sarebbe sabotaggio». Ma quando l'ex presidente della Camera, che si dichiara ancora comunista, afferma secco «se Pomigliano non può scioperare, è Cina», tra i due scende il silenzio. Ed è giusto che sia così.

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