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Il nuovo gruppo alla Camera perde i pezzi: dall'Udc a Noi Sud fioccano le smentite

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2010 alle ore 16:09.

Il sottosegretario Paolo Bonaiuti ci tiene a far sapere che «la situazione politica è sotto controllo». Ma sul gruppo di responsabilità nazionale, che dovrebbe garantire l'autosufficienza della maggioranza alla Camera, si addensano parecchie nubi. Ed è tutta una corsa a smentire il proprio arruolamento tra chi era stato incluso nella "conta" berlusconiana dopo che ieri il segretario del Pri, Francesco Nucara, aveva annunciato che «ci sono i numeri per costituire il gruppo». Ma oggi lo stesso Nucara frena. «Non credo che il gruppo si sia dissolto, come non ho mai creduto che si fosse formato. Berlusconi è nella sua natura ottimista, io per mia natura sono pessimista». Il segretario del Pri svela poi alcuni dettagli dell'incontro di ieri con il Cavaliere. «Berlusconi mi ha detto alcune cose, che a mio avviso erano sbagliate. Gli ho detto: "Questo nome cancellalo perché non verrà mai con noi. Ma i nomi onestamente erano molto più di 20».

I numeri, però, sembrano con il passare delle ore sempre più incerti. Anche perché per ora i no a Nucara sopravanzano le adesioni. Il primo a correggere il tiro è stato il potente segretario siciliano dell'Udc, Saverio Romano, il cui nome, insieme a quello di quattro suoi colleghi alla Camera (3 siciliani, Calogero Mannino, Michele Drago, Giuseppe Ruvolo, un campano, Michele Pisacane) era stato accostato al nascente gruppo ponte. «La nostra - spiega l'esponente centrista - è una battaglia che si gioca tutta interna all'Udc per stabilizzare una linea politica che negli ultimi tempi sembra essere un po' troppo ondivaga». Quanto al voto sui cinque punti che Berlusconi chiederà alla Camera a fine settembre, Romano non si sbilancia. «Le valutazioni mie saranno portate solo negli organi del mio partito poi in Parlamento dopo che avrà parlato Berlusconi».

Nessuna adesione incondizionata, dunque. Come quella dei cinque parlamentari di Noi Sud il cui ingresso nel gruppo era stato per scontato. «Non è che il gruppo lo facciamo così - precisa Luciano Sardelli - serve un progetto politico su cui discutere. Al centrodestra manca una gamba meridionale. Questa può essere l'occasione per fare un gruppo parlamentare legato al territorio e a prevalente vocazione meridionalista, ma non possiamo alimentare il sospetto di obbedire a logiche mercantili». E anche dai liberaldemocratici arriva una smentita. «Nessuno ci ha chiesto di aderire al nuovo gruppo», spiega il coordinatore nazionale Italo Tanoni che rinvia alla prossima direzione nazionale la valutazione su un eventuale appoggio all'esecutivo. Chiudono invece le porte al Cavaliere i parlamentari della Svp che ribadiscono la loro volontà di rimanere «fuori dagli schieramenti». Come pure gli esponenti dell'Mpa che piantano precisi paletti. «Non faremo parte di nessun "gruppo di responsabilità nazionale" - afferma Aurelio Misti - e voteremo la fiducia ai 5 punti programmatici del Pdl solo a patto che ci sia un cambio di rotta sul Sud e la sicurezza».

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La strada del nuovo gruppo si fa quindi in salita. E a rendere ancora più insidiosa la missione del premier contribuiscono anche i toni tutt'altro che concilianti della Lega. Che oggi, per bocca del governatore del Veneto, Luca Zaia, ha ribadito la propria contrarietà rispetto all'idea di un nuovo gruppo. «Il capo mi sembra molto freddo», si è limitato a sottolineare l'ex ministro dell'Agricoltura. E l'ipotesi di un gruppo ponte non piace nemmeno al direttore del Giornale, Vittorio Feltri, che oggi, in un duro editoriale, ha così liquidato l'intero progetto. «Noi pensiamo che una maggioranza raffazzonata, per quanto ben guidata, non abbia un gran futuro». E i finiani già cantano vittoria. «Il 28 settembre si dimostrerà che siamo determinanti - sottolinea uno dei falchi Carmelo Briguglio - e, come abbiamo sempre detto, che siamo parte integrante di questa maggioranza, non soltanto dal punto di vista numerico, ma anche e soprattutto politico».

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