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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 16:03.
Il dragone cinese minaccia fuoco e fiamme contro il Sol levante e mette in pericolo i difficili equilibri in Asia, fabbrica del mondo e mercato trainante dell'economia globale. Pechino domenica ha sospeso i rapporti bilaterali ad alto livello con Tokyo a livello ministeriale.
La mossa della Cina segue la decisione nipponica di prolungare la detenzione del capitano di un peschereccio cinese fermato al largo delle isole contese tra i due paesi ma la contesa riaccende gli animi già infiammati in seguito a un altro scontro che vede opposti i due paesi per lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale in un'altra zona del mar della Cina orientale e alle tensioni valutarie che oppongono yuan, yen e il dollaro. Proprio domenica la Banca centrale della Malaysia ha comprato per la prima volta in modo massicio bond governativi e societari denominati in renminbi per le sue riserve, facendo così scattare la corsa alla diversificazione in titoli del governo cinese.
Sullo sfondo del braccio di ferro tra Cina e Giappone c'è la lotta per la supremazia geopolitica in Asia e la fame di materie prime dei due giganti economici che lottano per il secondo posto come maggiore economia globale dietro gli Stati Uniti. Il presidente americano Barack Obama, atteso la prossima settimana a New York per l'Assemblea Generale dell'Onu, incontrerà giovedì prossimo separatamente il premier cinese Wen Jiabao e il premier giapponese Naoto Kan, ha annunciato domenica la Casa Bianca ipotizzando un possibile tentativo di mediazione americana.
La tensione nazionalistica è alle stelle in Cina.La stessa Cina che prepara un missile a lungo raggio. Il governo di Pechino e i mezzi d'informazione ufficiali non hanno nascosto nei giorni scorsi di approvare le proteste dei manifestanti cinesi svoltesi nelle principali città cinesi davanti alle rappresentane diplomatiche giapponesi, ricordando però di evitare che finisca come nel 2005, quando le proteste sfociarono in violenze contro cittadini o sedi diplomatiche e negozi giapponesi. «L'arresto del capitano è illegale», «Le Diaoyu (le isole contese, n.d.r.) sono da sempre della Cina», dicevano alcuni dei cartelli innalzati dai manifestanti. Non mancati i cartelli che ricordavano l'attacco giapponese alla Cina durante la seconda guerra mondiale.