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Dimissioni per Larry Summers. Il consigliere economico di Obama che non ha arginato la crisi

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 08:04.

NEW YORK. Sarà Larry Summers, il più potente consigliere economico di Barack Obama, a pagare per il fallimento delle politiche di stimolo dell'economia del governo statunitense. L'annuncio delle sue dimissioni è giunto nella serata di ieri dalla Casa Bianca dopo una giornata convulsa di indiscrezioni, smentite, e controsmentite. Era stato del resto lo stesso presidente Obama a dare adito alle indiscrezioni dopo una frase sibililina pronunciata in un dibattito televisivo in cui anticipava che «pressioni familiari avrebbero potuto indurre a un cambiamento nella squadra economica».

La Casa Bianca ha subito cercato di arginare il possibile danno: il prossimo appuntamento elettorale di novembre si giocherà sull'economia, e sarà di fatto un referendum sull' operato economico del presidente. Ammettere l'errore con il siluramento di Summers contraddice quanto il presidente ha ripetuto nelle ultime settimane e cioè «il piano di stimoli è giusto… la ripresa sarà solo questione di tempo».

Summers è stato segretario al Tesoro del presidente Bill Clinton negli ultimi due anni della sua amministrazione. È uno dei più autorevoli economisti americani, enfant prodige, prima all' Mit, e poi a Harvard. E' stato lui l'architetto del piano di stimoli, insistendo su un pacchetto da 787 miliardi di dollari, quando altri, e fra questi il suo antagonista “teorico” Paul Krugman, chiedevano azioni molto più incisive. Quando nella seconda meta dell' anno ci si è resi conto che l'economia faceva fatica a rimettersi in moto, e a creare occupazione, l' amministrazione ha cercato di correre ai ripari proponendo nuovi interventi, fra cui un pacchetto di agevolazioni fiscali per le aziende da 200 miliardi di dollari.Troppo poco, troppo tardi.

Proprio ieri del resto la stessa Federal Reserve ha preso atto di una forte e persistente debolezza dell'economia. Tuttavia nel comunicato formale successivo al Comitato Monetario (Fomc), Ben Bernanke non ha annunciato nuove misure di stimolo: i tassi resteranno molto bassi, fra lo 0 e lo 0,25% “per un periodo esteso”, ma per ora non vi saranno gli attesi acquisti sul mercato obbligazionario per iniettare nuova liquidità. Questa posizione ambigua ha disturbato il mercato, soprattutto quello valutario: il dollaro si è indebolito dell'1% nei confronti dell'euro, toccando quota 1,3210 contro quota 1,3060 di lunedi. La Banca Centrale americana ha già acquistato dopo la crisi del 2007 pacchetti di titoli garantiti da mutui immobiliari per 1.700 miliardi di dollari.

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Eppure quell'intervento finora è servito a poco. O meglio, è stato utile per evitare un crollo del settore immobiliare. Quanto servirà ora per agevolare un rimbalzo dell'occupazione? 500 miliardi di dollari? 100? Mille miliardi? Su questo la Fed riflette e prende tempo. Anche perché le sue stime interne prevedono un ritorno della ripresa su tassi di crescita soddisfacenti, attorno al 3,5% per il 2011. Ma quelle erano previsioni di giugno. Gli economisti privati hanno già ridotto le attese attorno a quota 2,8%. E la Fed aggiusterà le sue previsioni ai primi di novembre, subito dopo le attese elezioni politiche. La conferma che il mercato attendeva sui nuovi interventi non è arrivata. E non è detto che l'annuncio di un ritiro a fine anno di Summers, per ritornare all' insegnamento a Harvard, contribuirà a restituire fiducia a un mercato nervoso e volatile.

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