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Il Pd riparte da Bersani. I veltroniani si astengono sulla sua relazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2010 alle ore 19:41.

È il giorno più lungo per il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Stretto tra il documento presentato dai dissidenti capeggiati dal suo predecessore Walter Veltroni e la necessità di far uscire il partito da un pericolosissimo cul de sac. E la lunga direzione nazionale, che si è conclusa con il voto sulla sua linea, sancisce per ora la vittoria del segretario. La cui relazione viene approvata a stragrande maggioranza: su 206 partecipanti sono solo 32 le astensioni registrate nelle fila dei veltroniani, degli uomini di Fioroni e dei 22 componenti dell'area di Ignazio Marino. E a favore del segretario si schierano i membri dell'area di Dario Franceschini e Piero Fassino.

Un voto che chiude un confronto difficile anche se non aspro nei toni. E che è arrivato dopo lo strappo sancito ieri sera dalla definitiva spaccatura della minoranza di Area democratica con gli ex popolari ormai divisi (Franco Marini schierato con Franceschini accanto al segretario e Beppe Fioroni al fianco dell'ex sindaco di Roma). Ma il voto di oggi è giunto anche dopo un rapido faccia a faccia tra Bersani e Veltroni, con il primo deciso ad andare alla conta per costringere in un angolo i 75 firmatari del manifesto veltroniano (l'ultima ad aggiungersi è Cinzia Capano, ma esce dal gruppo Franca Biondelli).

Nel corso della direzione il segretario ha difeso le sue scelte e contrattaccato. «La mia narrazione è un sogno - spiega Bersani citando indirettamente Nichi Vendola - ma con le gambe per camminare. Noi siamo l'unica speranza credibile di un'alternativa per il paese». Quanto all'assenza di una bussola strategica, sbandierata dal gruppo veltroniano, il numero uno di Largo del Nazareno è netto. «Rispetto al discorso di Torino non ho nulla da correggere. Lì c'è la bussola e la direzione di marcia». Oggi, incalza il segretario, «dobbiamo decidere in modo chiaro la rotta, perché l'attuale situazione politica italiana presuppone una barra dritta. Non sappiamo nemmeno cosa succederà in Parlamento tra una settimana. Il tempo è questo e dobbiamo stare in questo tempo».

I veltroniani lo ascoltano e, rispetto alla linea del "no" emersa ieri, quando si erano riuniti per decidere il da farsi, virano verso più miti consigli. Bersani comunque non arretra. Il suo giudizio sul documento resta negativo: «I nostri elettori - avverte - ci chiedono di lavorare per evidenziare la crisi del berlusconismo. Niente gioco dell'oca, non possiamo sempre ricominciare dall'inizio». Il segretario vuole far ripartire la macchina in panne. «Sono per un Pd che non deleghi a nessuno e che abbia la responsabilità del progetto. Tocca a noi avanzare il progetto e da lì che vengono le alleanze, ma non a tutti i costi». Non rinnega quindi il suo progetto di "Nuovo Ulivo", contro cui si erano appuntate le critiche di Veltroni, ma apre alla discussione.

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Poi, a uno a uno, prendono la parola tutti gli altri big. E quando arriva il turno di Dario Franceschini, si capisce che ormai tra i due leader di Areadem c'è l'abisso. Franceschini condanna ancora una volta il manifesto di Veltroni («con dolore debbo dire che i 75 hanno sbagliato»), ma sottolinea che «il disagio nel partito si avverte». Ma lui ha già chiarito che non seguirà l'ex sindaco di Roma e a Bersani chiede più collegialità nelle scelte. «Serve far prevalere le ragioni dell'unità con la mediazione e l'ascolto e dicendo alla periferia che chi ha vinto il congresso non è il padrone e chi ha perso non è ospite». Ma Franceschini stoppa la criminalizzazione di Bersani, cui garantisce il suo appoggio.

È la fine della minoranza e quando, prima del voto finale, tocca a Veltroni gli schieramenti ormai sono chiari. L'ex sindaco di Roma ribadisce che il documento non voleva provocare spaccature e che lui non ha mai messo in dubbio la leadership di Bersani («è il segretario di tutti noi»). Però qualche sassolino dalla scarpa l'ex numero uno se lo leva ricordando che «quando nel pieno della campagna elettorale in Sardegna Bersani si candidò per le primarie non ci rimasi bene ma non obbiettai. Egli sostenne che voleva solo discutere e non litigare. Ecco, uso le sue parole: stiamo solo discutendo». E il partito esce «più unito e forte da questa discussione». Un partito che, almeno oggi, ha scelto di seguire il segretario.

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