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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 08:00.
NEW YORK - Tra i responsabili diretti degli attacchi dell'11 settembre ci sono anche «alcun segmenti» del governo americano «che li hanno orchestrati per salvare il regime». Mahmoud Ahmadinejad ha scelto il palcoscenico dell'Onu per lanciare uno dei suoi più duri attacchi al nemico americano. Dopo queste parole la delegazione americana e quelle dell'Unione europea (compresa quella italiana) hanno abbandonato la sala in segno di protesta. Ahmadinejad si è presentato sul podio delle Nazioni Unite con una copia del Corano e una della Bibbia: «Li rispetto entrambi perché riflettono la parola divina», ha detto in un chiaro riferimento al pastore Terry Jones, che poche settimane fa aveva minacciato di bruciare il Corano.
Tuttavia in uno dei suoi tipici interventi dalla retorica a tratti confusa, il presidente iraniano ha deciso allo stesso tempo di denunciare «le armi nucleari come il peggiore dei mali per l'umanità», proponendo che il 2011 diventi l'anno del disarmo nucleare. Ha citato più volte Gesù come uno dei grandi profeti e ha ribadito i suoi attacchi contro i mali del capitalismo.
Poche ore prima, Obama aveva usato toni completamente diversi. Il presidente americano ha chiesto all'Iran di negoziare in buona fede la chiusura dei suoi impianti nucleari per lo sviluppo di armi atomiche. Teheran, ha detto Obama, dovrà dimostrare un impegno credibile e chiaro e dovrà confermare al mondo che il suo programma nucleare ha obiettivi solo pacifici. «La porta della diplomazia resterà aperta - ha detto - se l'Iran deciderà di varcarla».
Fonti diplomatiche (precedenti al discorso infuocato di Ahmadinejad) confermavano che la questione iraniana ha subito una svolta apparente ai margini di questa Assemblea generale. Gli iraniani cominciano a soffrire delle sanzioni passate qualche mese fa non tanto per un impatto immediato, quanto perché si rendono conto che nel giro di un paio d'anni, in mancanza di una eliminazione di queste sanzioni, il paese rischierà di pagare un prezzo altissimo, anche in termini di tensioni sociali. E dunque, al di là della retorica di Ahmadinejad, il ministro degli Esteri iraniano Mottaki è sembrato più malleabile.