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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 17:46.
I vescovi italiani lanciano un appello alla politica: fermate i personalismi, «siamo angustiati per l'Italia». A due giorni dal discorso del premier Silvio Berlusconi in Parlamento dopo un'estate rovente giocata nello scontro politico-immobiliare con Gianfranco Fini, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, si spende in prima persona: «É il momento di deporre realmente i personalismi, che mai hanno a che fare con il bene comune, e di mettere in campo un supplemento di reciproca lealtà e una dose massiccia di buon senso per raggiungere il risultato non di individui, gruppi o categorie, ma del Paese».
Un discorso a tutto campo al Consiglio Permanente della Cei dopo quattro mesi di silenzio sulla situazione interna dell'Italia (dall'assemblea di fine maggio): per efficaci processi di riforma - ha aggiunto - occorre «avviare meccanismi di coinvolgimento e di partecipazione non fittizi», e rendersi conto che «la fiducia che i cittadini esprimono verso chi li rappresenta è un onore e una responsabilità che non ammette sconti di nessun tipo».
Parole che tuttavia non nascondono le gravi difficoltà politiche del momento: davanti «al disconoscimento reciproco, alla denigrazione vicendevole, e a quella divisione astiosa che agli osservatori appare l'anticamera dell'implosione, al punto da declassare i problemi reali e le urgenze obiettive del Paese», come vescovi «nel nostro animo di sacerdoti, siamo angustiati per l'Italia». Naturalmente non cita nomi o sigle, nè tantomeno la casa di Montecarlo, ma il tema è tutto lì, sul tavolo, quando davanti al parlamentino dei vescovi parla di «momenti di grande sconcerto e di acuta pena per discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili. E questi sono diventati a loro volta pretesto per bloccare i pensieri di un'intera Nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni».
Il presidente della Cei denuncia in proposito «l'innegabile influsso di una corrente di drammatizzazione mediatica, che sembra dedita alla rappresentazione di un Paese ciclicamente depresso, finisce per condizionare l'umore generale e la considerazione di sè». I processi politici - per i quali rinnova l'appello ai cattolici di impegnarsi seriamente - dovrebbero avere ben altrio registri, ma oggi «alla necessaria dialettica si sostituisce la polemica inconcludente, spingendosi fino sull'orlo del peggio. Poi, alla vista dell'esito estremo, si raddrizza il tiro, ci si riprende, si tira un respiro di sollievo per scampato pericolo, finendo tuttavia, altro guaio, per tenere uno sguardo affezionato a quello che in precedenza era stato il campo di battaglia. Si preferisce indugiare con gli occhi tra le macerie, cercare finti trofei, per tornare a riprendere quanto prima la guerriglia, piuttosto che allungare lo sguardo in avanti, disciplinatamente orientato sugli obiettivi comuni, per i quali è richiesta una dedizione persistente e convergente».