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«Signor presidente, signori deputati...». Il dialogo finisce qui, poi 54 minuti di gelo tra Berlusconi e Fini

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2010 alle ore 14:10.

Apre citando don Luigi Sturzo e l'ex segretario del Pd, Walter Veltroni. Ma soprattutto non si esime da quell'esordio mai così carico di significato come oggi. «Signor presidente, signori deputati...». Perché il "presidente" cui si rivolge Silvio Berlusconi nell'aula di Montecitorio è il cofondatore del Pdl, Gianfranco Fini. Siedono a pochi metri di distanza, ma tra i due c'è un abisso. Tanto che il leader di Futuro e libertà non risparmia ironie nemmeno prima che la seduta abbia inizio. E, quando i giornalisti lo avvicinano alla buvette della Camera per chiedergli se farà gli auguri di compleanno al Cavaliere (oggi compie 74 anni), Fini risponde gelido. «Fare gli auguri ai deputati non rientra tra le prerogative del presidente...».

Quanto basta per capire che tra il Cavaliere e la terza carica dello Stato è ormai guerra fredda. I loro sguardi non si incroceranno mai. Berlusconi parla per 54 minuti e si interrompe per 50 volte, tanti sono gli applausi che arrivano soprattutto dai banchi del centro-destra. Il primo, però, è assolutamente bipartisan quando il Cavaliere ricorda in aula l'impegno dei militari italiani all'estero e rende omaggio ad Alessandro Romani, la 33esima vittima tra i nostri soldati.

I banchi del governo sono al gran completo e c'è anche chi, come il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, incita i deputati ad applaudire il premier. Lo fa, per esempio, quando Berlusconi cita «un grande lavoro di squadra, una squadra chiamata Stato». Il titolare di via XX Settembre fa ampi cenni ai colleghi, li invita alla standing ovation e si lascia andare a una battuta. «Stato di polizia...». La maggioranza non si fa pregare, salta in piedi per accompagnare con un lungo applauso l'intervento di Berlusconi. Ma non tutti scattano all'invito di Tremonti.

I finiani restano seduti, mentre dai banchi dell'opposizione si leva la protesta. «Ai giudici», grida qualcuno dai banchi del Pd quando il Cavaliere sottolinea che «tanti colpi abbiamo inferto alla mafia». Il più animato è il deputato Furio Colombo che si agita e costringe Fini a richiamarlo. Poco dopo il rimbrotto toccherà anche a Roberto Giachetti. Altri applausi scandiscono poi l'intervento del premier quando parla delle misure anti-crisi, di federalismo, di tutela della vita o di riforma fiscale. Si infiammano i banchi di Pdl e Lega, ma non quelli dei finiani che gli concedono un unico tributo, sulle missioni internazionali. Ma il tifo da stadio esplode al passaggio sulla giustizia e alla promessa della separazione delle carriere dei magistrati. Fli tace, applaude solo la colomba Giuseppe Consolo, ma il suo resta un gesto isolato.

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Berlusconi procede sicuro seguendo la traccia scritta. Si concede pochissime trasgressioni. Quando, per esempio, assicura di non essersi mai negato al dibattito e al confronto. Dietro di lui si intravvede un sorriso ironico sul volto di Fini. Ma ride anche l'opposizione che accompagna con schiamazzi e grida questo passaggio del premier. Lui allontana il viso dal discorso e non si trattiene da una replica stizzita. «Faccio fatica - dice - a trattenere le battute pungenti che mi verrebbero». Oggi è la giornata della conciliazione, la guerra per ora può aspettare.

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