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Ecco perché il ministro La Russa ha riaperto la discussione sull'armamento dei caccia italiani

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 19:31.

La decisione del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, di riaprire la discussione sull'armamento degli aerei italiani schierati in Afghanistan rappresenta un importante passo verso la rimozione dell'ultimo caveat di rilievo che limita l'impiego delle forze militari italiane. Finora i cacciabombardieri Amx (e prima di loro i più grandi Tornado) non sono autorizzati a imbarcare bombe e missili per evitare il rischio di colpire involontariamente i civili. I jet italiani vengono quindi impiegati solo come ricognitori e possono eventualmente intervenire contro i talebani impiegando esclusivamente il cannoncino a tiro rapido.

Nel caso dei velivoli teleguidati, Predator, anch'essi disarmati, l'assenza dei missili Hellfire come quelli imbarcati dagli stessi velivoli utilizzati dagli statunitensi, impedisce agli italiani di colpire i gruppi di talebani individuati mentre posizionano ordigni lungo le strade.

Ci sono molte ragioni operative ed economiche per le quali è importante eliminare questo "caveat" imposto ai militari dalla politica nazionale. Con l'imminente ritiro dei 6 Tornado tedeschi schierati a Mazar-i-Sharif, che hanno limitazioni simili, i jet italiani resteranno gli unici tra le forze alleate a non poter bombardare i talebani. Ciò significa che le truppe italiane, quando cadono nelle imboscate talebane e chiedono l'intervento dei jet (come è accaduto anche ieri nella battaglia che ha visto la morte di quattro alpini in Gulistan), vengono soccorsi dagli aerei alleati ma non italiani. Al tempo stesso i nostri aerei non sono in grado di "ricambiare il favore" soccorrendo con interventi risolutivi truppe alleate in difficoltà.


L'impiego del cannoncino di bordo obbliga poi gli aerei a volare a quote molto basse esponendo i velivoli e i piloti al fuoco delle armi leggere talebane. Inoltre il cannoncino non ha la stessa precisione di una bomba a guida laser o Gps e del resto il rischio di provocare danni collaterali non viene scongiurato dall'assenza di bombe a bordo dei velivoli, come dimostra la battaglia combattuta a Bakwa (Farah) il 17 settembre nella quale morì il tenente Alessandro Romani. Il drone disarmato Predator non poté colpire i talebani mentre piazzavano un ordigno sulla strada, in campo aperto e lontano dai civili ma quando intervennero le forze speciali e gli insorti si erano barricati in un edificio (all'interno del quale avrebbero potuto esserci anche civili) che venne raso al suolo dagli elicotteri Mangusta.

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Per ammodernare i cacciabombardieri l'Aeronautica ha speso decine di milioni di euro e altri 34 per acquistare da Boeing 500 Small Diameters Bombs , ordigni a basso potenziale concepiti proprio per ridurre i danni collaterali. Soldi spesi inutilmente se in Afghanistan i velivoli volano disarmati e le bombe restano nei depositi in Itala. Sulla questione è intervenuto oggi anche il generale Leonardo Tricarico, ex cappo di stato maggiore dell'Aeronautica oggi membro della Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analys) sostenendo l'impiego di bombe sugli Amx pur "tenendo in massima considerazione la salvaguardia della vita umana quando si pianificano le missioni". Circa i droni Tricarico ha definito «incredibile non aver ancora fornito di armamento di precisione i nostri aerei senza pilota considerato anche che il 30-40% degli ordigni sono oggi individuati dagli Uav, in alcuni casi mentre vengono piazzati».

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