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Norme e Tributi Fisco

Parla il vero Frank Serpico: così si scovano i truffatori

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2010 alle ore 09:16.

HARLEMVILLE - «Come si chiama il tuo giornale? Di cosa ti occupi? Dove vivi in Italia? Chi ti ha mandato qui? Chi ti ha dato il mio numero di telefono?». Difficile riuscire a fare delle domande a Frank Serpico, il poliziotto che fece della lotta alla corruzione poliziesca nella New York degli anni 60 una ragione di vita: gioca ancora d'anticipo ed è lui a investigare, anche a 73 anni, anche nella campagna di Harlemville dove si è ritirato da qualche anno in solitudine.

Scovarlo non è facile in questa valle a 300 chilometri da Manhattan: un grappolo di case, una scuola, non più di 200 abitanti e un meraviglioso paesaggio autunnale che varia dal giallo al rosso in mille sfumature. Tutti rispettano la sua voglia di riservatezza, poi la tentazione di scambiare qualche parola d'italiano («parlo come m'ha fatto mamma», dice subito) prevale e si fa trovare nel negozio-trattoria dove pranza quasi tutti i giorni. Quando sente che il governo italiano ha battezzato "Serpico" il cervellone che monitora le tasche di cittadini e imprese e dovrà contribuire ad arginare l'evasione fiscale, non si scompone. «Anch'io avevo il mio database per combattere la corruzione: allora i truffatori peggiori erano i più benestanti e sofisticati, esattamente come chi oggi se la spassa tra suv, barche e belle case senza pagare le tasse. Loro sono la rovina dell'economia. Gli altri lavorano e fanno il loro dovere, non saprebbero neanche come aggirarlo, il fisco».

Sguardo lucido, barba grigia e un modo di parlare a scatti che ricorda la sveltezza fisica di un tempo (l'andatura ora è un po' curva, nei jeans neri e nella felpa grigia), Serpico vive in una casa di legno che si è costruito con le sue mani, alleva polli e coltiva l'orto. Gli piace mangiare solo cibi organici, sani e godersi una dimensione bucolica che prima o poi cercherà anche in Italia, dove vuol tornare e dove vivono i suoi parenti (è originario di Marigliano, in Campania).

Non sapeva ovviamente che fosse stato usato il suo nome per il database antievasione, ma la cosa non lo disturba: «Non conosco i fatti e dunque non dico nulla, ma apparentemente l'obiettivo è lo stesso per cui mi sono battuto. E finché la parola "Serpico" è associata a cause nobili o che comunque non tradiscono il mio pensiero e i miei valori, non c'è alcun problema. Gli esempi sono tanti, a volte bizzarri. Dai vini agli occhiali da sole, dalle corse di cavalli alle agenzie investigative, fino agli hamburger che non mi sogno di mangiare: Serpico è ovunque, in realtà. E spesso mi invitano a parlare o promuovere degli eventi che seleziono con cura», racconta tra un cucchiaio di minestrone e l'altro, seduto accanto a Elle, la sua compagna francese. «Quando mi accorgo che il mio nome è usato in modo scorretto - aggiunge in tono serio - o che si travisa la mia storia, come è accaduto nel libro di un professore universitario che ha scritto il falso, beh, scattano le vie legali».

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Proprio la sua storia dice meglio di tante parole che quando Frank Serpico si mette in testa una cosa non c'è da scherzare. Furono la sua testardaggine e la sua tenacia a fargli dare la caccia non solo a criminali, pusher e mafiosi ma anche ai colleghi in divisa corrotti. Osò, giorno dopo giorno, anno dopo anno, incrinare un muro di omertà compatto come pochi nelle file della polizia, pagando a carissimo prezzo il suo coraggio: «Sono 35 anni che ho in testa i frammenti di quella pallottola che mi colpì in piena faccia», dice, rievocando l'episodio cruciale del 1971 con cui si apre il film cult con Al Pacino: l'irruzione in un covo di spacciatori, il colpo di pistola, l'indifferenza degli altri "sbirri".

Troppo anche per un ambiente così corrotto. Ne scaturì una commissione d'inchiesta, la Knapp, che scoperchiò la pentola rivelando il marcio che si annidava tra le forze dell'ordine, tra mazzette, coperture di malavitosi e giri d'affari colossali. Serpico diventò "Serpico", appunto, osannato e celebrato come il paladino della giustizia. Ma dentro la polizia di New York molti non gli perdonarono quella rivoluzione. E tuttora, dice lui, c'è chi non lo sopporta, lo ritiene un corpo estraneo. Dopo gli onori e la notorietà, Serpico scelse di allontanarsi dagli Stati Uniti, passò del tempo in Svizzera per riprendersi dal trauma, viaggiò a lungo in Europa raccontando la sua storia prima di riparare ad Harlemville alla fine degli anni 80. «Allora sembrò che le cose fossero cambiate, in realtà non è così. È il sistema, nel suo profondo, che non funziona e non si può far nulla se non agire per il meglio a livello individuale», commenta con una punta di amarezza.

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