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Dubai World è salva. Il 99% dei creditori ha accettato il piano di rientro. Lavoro finito per Birkett

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2010 alle ore 18:31.

«Mission accomplished», missione compiuta. Aidan Birkett, senior manager della Deloitte, nominato "chief restructuring officer" di Dubai World, la gigantesca holding di stato nel momento più duro della crisi dopo l'esplosione il 30 novembre 2009 della bolla immobiliare di Dubai, quella delle avveniristiche isole a forma di Palma, ha portato a termine la sua impresa: il 99% dei creditori ha accettato il piano di rientro dal debito e lui ha lasciato l'ufficio chiudendo dietro di sè la porta.

Birkett è uno specialista del settore che in 25 anni di attività ha ristrutturato debiti per oltre 100 miliardi di dollari e anche questa volta è riuscito nell'impresa titanica della sua pur lunga esperienza di super-curatore fallimentare di convincere i creditori che Dubai non era l'"Argentina del Medio Oriente". E soprattutto ha convinto il governo a convertire in azioni prestiti per 8,9 miliardi di dollari.

Birkett prima di Dubai World ha lavorato per vari gruppi tra cui: Spanish Real Estate Group, My Travel, Cable & Wireless, Metronet, Gate Gourmet, Iceland, Energis e Wembley. Inoltre è stato insignito del premio "Turnaround Professional of the Year" nel 2002. Non male come curricula, anche se il lavoro non manca. anzi ti vengono a cercare da tutto il mondo visti i tempi che corrono.

La storia di Dubai ormai era stata archiaviata dagli addetti ai lavori ma l'uscita di scena di Birkett mette la parola fine in modo ufficiale, salvo sorprese dell'ultima ora, all'inizio di quell'incendio dei debiti sovrani che da Dubai si era poi propagato alla Grecia, alla penisola Iberica e poi all'Irlanda colpendo il cuore di Eurolandia che alla fine aveva dovuto mettere sul piatto un maxi-fondo di garanzia da 750 miliardi di euro tra Ue e Fmi.

Ma andiamo con ordine. Dubai World il 10 settembre 2010 aveva annunciato di aver ottenuto l'approvazione del 99% dei creditori al progetto di ristrutturazione del debito, pari a 23,5 miliardi di dollari. La società aveva ottenuto «l'accordo formale per il 99% del valore e il 99% del numero di banche creditrici» ed era stata in grado di «mandare in porto il processo di ristrutturazione nelle prossime settimane».

Ma come ha fatto il "Metternich dei bilanci", come viene chiamato dagli addetti ai lavori per le sue consumate abilità diplomatiche, a convincere le banche e gli altri creditori? Dubai World ha raggiunto un accordo con i suoi principali creditori per disinnescare la mina del debito con un piano articolato in più mosse. La ristrutturazione ha riguardato in tutto un peso da 23,5 miliardi di dollari. La grande holding governativa dell'emirato arabo ripagherà 14,4 miliardi in due tranche. Una da 4,4 miliardi in cinque anni, la seconda da dieci miliardi nell'arco di otto anni. Mentre il governo convertirà in equity prestiti per 8,9 miliardi alla controllata immobiliare del gruppo, Nakheel. E questo è stato l'asso nella manica di Birkett che è riuscito a convincere lo sceicco a impegnarsi a coprire con denaro pubblico eventuali carenze di risorse.

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La garanzia, fino a quattro miliardi, scatterà se le cessioni di asset del gruppo non rastrellassero fondi adeguati. Insomma una specie di cuscino di sicurezza. Ai partner commerciali di Nakheel, inoltre, è stata offerta una formula composta al 40% da contanti e al 60% da un sukuk, obbligazione islamica trattabile dal 10% di rendimento. Birkett è riuscito a far firmare un compromesso, sottoscritto dal Comitato di coordinamento dei creditori, che rappresenta 90 istituzioni pari al 60% degli investitori esposti a Dubai World. Tra questi banche internazionali del calibro di Hsbc, Royal Bank of Scotland, Standard Chartered, Lloyds Banking e Bank of Tokio Mitsubishi, assieme a istituti locali quali Emirates Nbd e Abu Dhabi Commercial Bank. Insomma il meglio del mondo finanziario mondiale.

Lo sceicco Ahmed Bin Saeed Al Maktoum, presidente del Comitato Fiscale Supremo del Dubai, a suo tempo ha definito l'intesa una «pietra miliare, risultato degli sforzi di numerose parti che condividono un interesse nel futuro del Dubai». L'intesa ha chiuso un periodo destabilizzante. L'annuncio lo scorso novembre che Dubai World avrebbe dilazionato pagamenti nel mezzo della bufera mondiale sul credito aveva scosso i mercati emergenti. E fatto scattare soccorsi da parte di Abu Dhabi e degli Emirati Arabi Uniti.

L'infuenza delle vicissitudini dell'emirato sono molto ampie. Solo Dubai World controlla il quarto operatore portuale al mondo, DP World, il fondo di private equity Istithmar e Economic Zones World, gestore di parchi industriali e commerciali. Negli Stati Uniti il gruppo è salito alla ribalta delle cronache comprando una quota da 5,1 miliardi di dollari nel gigante del gioco d'azzardo MGM Mirage nel 2008 e rilevando l'anno prima, con Istithmar, i grandi magazzini di lusso Barneys per 942,3 milioni. Insomma Birkett ha salvato un paese e forse la regione del Golfo Persico da una crisi di fiducia. A Dubai gli dovrebbero fare un monumento, magari in una delle tante isole a forma di Palma. Lo spazio non manca.

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