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Intervista a Massimo D'Alema. «Berlusconi lasci: ora un nuovo governo per affrontare la crisi»

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 06:38.

«Bisogna essere molto preoccupati per la situazione del nostro paese». Massimo D'Alema da alcuni mesi va su e giù per il mondo nel suo ruolo di presidente della Feps, la fondazione dei progressisti europei. Ma non è esattamente un osservatore "esterno" delle vicende italiane. Oggi sarà ad Asolo per un dibattito con Gianfranco Fini. E lancerà la sua proposta di «un governo di ampia convergenza», per fare la legge elettorale, ma anche per «affrontare la crisi economica» con riforme importanti, come quella fiscale.

Cosa la preoccupa così seriamente?
Mi preoccupa che, malgrado il dinamismo di tante imprese italiane e la loro capacità di agganciarsi ai segnali di ripresa internazionale, la crisi generale del paese rimane molto grave. La ripresa non genera nuovo lavoro e i rischi sociali sono seri. Man mano che va a scadere la cassa integrazione emerge che la disoccupazione italiana è superiore alla media europea, come ha detto giustamente la Banca d'Italia. Non è affatto inferiore, come è stato affermato da altri giocando con i numeri. Il ministro Tremonti ha sostenuto che i numeri vengono prima della politica, ma lui ha un modo tutto politico di dare i numeri.

Tremonti faceva riferimento ai dati dei conti pubblici e alla necessità del rigore.
La verità è che di fronte al rischio di un prolungato periodo di stagnazione non c'è alcuna iniziativa politica da parte del governo. Non c'è nulla di significativo che venga progettato o fatto. Anzi, in controtendenza con quello che avviene nei paesi nostri competitori noi stiamo disinvestendo in settori chiave come l'innovazione, la ricerca, l'istruzione. Il paese è senza una guida politica.

Berlusconi ha annunciato un programma in cinque punti e ha lanciato la riforma del fisco. Lei non sembra dargli molto credito…
La sua vera agenda non ha nulla a che fare con le esigenze del paese. È un'agenda dominata dai suoi problemi giudiziari: lodi, leggi, leggine, tutto ruota intorno alle questioni personali di questa discussa figura, di cui un giorno si scopre che è indagato per frode fiscale, un giorno si dubita che abbia comprato con società off shore ville in paradisi fiscali. Le pare possibile che il futuro della legislatura dipenda dalla possibilità che nella maggioranza si mettano d'accordo sul Lodo che fermerà i processi a Berlusconi e su una riforma della giustizia che conterrà una serie di gabole per farli andare in prescrizione?

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Ieri Napolitano ha espresso le sue perplessità sul Lodo per la parte in cui si fa riferimento all'immunità per il presidente della Repubblica.
Il capo dello Stato non deve essere indebitamente tirato dentro a "Lodi" di cui non ha bisogno e che stravolgono il suo ruolo stabilito dalla Costituzione.

Detto questo, anche dall'opposizione qualcuno ha ipotizzato: facciamo lo scudo così si smetterà di parlare dei processi di Berlusconi e si potrà discutere di quello che è importante per il paese.
Ma non ci sarebbe nessuna garanzia che una volta approvato lo scudo ci si occupi davvero delle cose serie. Eppoi va considerato l'effetto negativo dell'abbassamento della soglia di legalità, il senso di impunità che si diffonde nel corpo sociale come una malattia. Quando si concluderà questa stagione così negativa, l'opera di ricostruzione dell'etica pubblica sarà molto impegnativa. Berlusconi ci lascia in una sorta di dopoguerra.

Ne parla come se la sua stagione fosse già finita.
Ormai siamo a un bilancio del berlusconismo. E tutti i dati dicono che il suo è stato un fallimento storico. Negli ultimi dieci anni il Pil ha registrato una crescita zero e la spesa pubblica è cresciuta di 5 punti. Ma sono solo due aspetti, in tutti i campi le cose sono andate peggio. In un paese normale bisognerebbe senza alcun dubbio guardare avanti e dar vita a un nuovo governo. Berlusconi si ritiri in una delle sue ville.

E da chi dovrebbe essere formato questo nuovo governo?
Auspico un governo con la più ampia base parlamentare possibile. Un governo che avrebbe il compito di rifare la legge elettorale, ma anche di affrontare le più acute emergenze del paese con gli interventi necessari a uscire dalla crisi.

Per esempio?
Una vera riforma fiscale. Noi abbiamo fatto una proposta che va a sostegno delle imprese e del lavoro. Vogliamo riequilibrare la pressione fiscale che oggi favorisce le rendite e penalizza, con l'evasione, chi paga davvero le tasse. Un imprenditore che investe un milione di euro in un'attività produttiva paga di più di chi utilizza quel milione in una speculazione finanziaria. C'è una distorsione a svantaggio delle imprese e del lavoro. Questa situazione va riequilibrata.

Non la convince il tavolo sulla riforma avviato dal governo?
Finora ogni loro iniziativa in campo economico è servita solo a dividere. Mentre serve esattamente il contrario. Bisogna unire, la politica deve favorire un patto tra i produttori per rilanciare la competitività: va creato un ambiente favorevole per innalzare la produttività del lavoro, che è la questione più importante che abbiamo di fronte. Una riforma fiscale a favore del lavoro e delle imprese, che incoraggi la capitalizzazione delle aziende e alleggerisca la pressione fiscale sulle retribuzioni, può aiutare. Come può aiutare un governo che faccia una seria riforma del mercato del lavoro nel senso della flexsecurity, per dare sicurezza ai lavoratori nella flessibilità.

Lei sembra proporre un piano di rilancio sul genere dei governi del '92 e del '93.
Quei governi, Amato e Ciampi, salvarono il paese grazie alla collaborazione di tutti i soggetti sociali. Sindacati, imprese e politica furono uniti in uno sforzo comune. Così si fa nei momenti di crisi. Finora invece ogni intervento del governo Berlusconi è sembrato avere l'unico obiettivo di dividere il sindacato. E questo è sbagliato, come ha detto anche il dottor Romiti, che non è un pericoloso militante della Fiom.

Fatto sta che i rapporti tra Cisl e Uil, da una parte, e Cgil dall'altra sono ai minimi storici. Per il Pd è un problema in più.
Siamo dispiaciuti e preoccupati da questa divisione. Ed è chiaro che ci crea delle difficoltà, perché siamo un grande partito in cui militano esponenti di tutti e tre i sindacati. Non siamo il partito della Cgil o della Fiom.

Qualcuno nel partito ha lamentato un eccesso di partigianeria per la Cgil sotto la gestione Bersani.
È un giudizio sbagliato. Se c'è una posizione che ci caratterizza è quella per l'unità sindacale: un bene per il paese, un bene per i lavoratori e un bene, come terza considerazione, per il partito democratico.

Non basta invocare l'unità: su Pomigliano la voce del Pd non è stata esattamente alta e chiara.
Noi non abbiamo sostenuto la campagna per il no. Non spetta ai partiti partecipare ai referendum dei lavoratori.

Lei che giudizio dà degli accordi di Pomigliano? Li reputa una buona intesa, magari da estendere ad altre fabbriche?
Pomigliano è una realtà del tutto particolare nella quale quell'accordo era comprensibile. Ma esso contiene aspetti discutibili come le clausole su malattia e scioperi, che non credo siano - in quei termini - generalizzabili. Quello che mi preoccupa è il possibile ritorno a un sistema unilaterale di gestione delle relazioni sociali. Nell'accordo di Pomigliano i margini di discrezionalità che l'azienda recupera rispetto a quello che deve negoziare con il sindacato sono tanti.

Nel suo nuovo incarico per i riformisti europei lei gira il mondo. Non crede che accordi come quelli di Pomigliano diventino una necessità nel nuovo assetto internazionale della produzione?
Giro e vedo tante cose. Una delle cose che vedo è che quasi in tutto il mondo sviluppato i salari sono più alti che da noi. E questo fa parte del nostro problema. Perché una delle condizioni dell'alta produttività del lavoro, in paesi come la Germania, è anche un livello salariale molto avanzato.

Può esserci uno scambio su questa base anche in Italia?
Sarebbe un modo moderno di porre la questione. In Germania i salari sono alti, i lavoratori partecipano alla gestione delle aziende attraverso la cosiddetta Mitbestimmung e c'è una maggiore pace sociale. C'è un patto, c'è un do ut des. Ecco, qui non si capisce che cosa si dà, si capisce bene solo cosa si vuole.

A Pomigliano l'agibilità della fabbrica era quantomeno complessa.
L'ho detto tempo fa: quello che succedeva in quella fabbrica non era accettabile. Se si tollerano certe forme di assenteismo e di indisciplina poi si paga un prezzo, anche nel rapporto con la controparte. Ma Pomigliano non è la realtà di tutte le fabbriche italiane e neppure di tutte quelle meridionali. Perciò, guardando al paese, serve un piano più ambizioso che si fondi su due interventi: una seria riforma della contrattazione, che dia spazio alla contrattazione aziendale e territoriale; e una legge che regoli la rappresentanza del mondo del lavoro.

La riforma contrattuale firmata poco più di un anno fa va proprio in questa direzione.
Io la proposi da presidente del consiglio. Nel '98. E in quel caso c'erano clausole di garanzia sui livelli salariali che oggi non ci sono. Fu sbagliato non averla accettata: sarebbe stata fatta in condizioni diverse, con un governo più attento alle esigenze del mondo del lavoro. Allora fu un errore della Cgil, oggi sulla rappresentanza pesa la storica difficoltà della Cisl.

Il nuovo governo dovrebbe quindi occuparsi di molto di più della legge elettorale.
È chiaro che il nuovo governo non potrà fare solo la riforma del sistema di voto, dovrà affrontare la crisi, cercare di trovare rimedi e soluzioni.

Da chi dovrebbe essere guidato? Anche da un esponente dell'attuale maggioranza?
Chi guida il governo lo decide il capo dello Stato. I dibattiti a questo proposito sono inutili. E spesso dannosi. Io penso che il paese avrebbe bisogno di un governo di larga convergenza, di durata limitata, che affronti la legge elettorale e non solo.

Ma quale legge elettorale? Le posizioni sulla riforma sono le più diverse.
Serve una legge che riduca la frammentazione politica, che è il principale male del nostro sistema, che accompagni il bipolarismo e che non obblighi alla formazione di maggioranze di governo spurie. Questo obiettivo si realizza nel modo migliore con l'uninominale a doppio turno. Se non sarà possibile, il sistema che produce effetti più simili è quello tedesco. Ovviamente non senza quelle riforme costituzionali che sono l'elezione del cancelliere e la sfiducia costruttiva, per evitare il carattere ballerino dei sistemi puramente parlamentari.

La sua preferenza per il tedesco è nota. Ma perché oggi dovrebbe esserci la possibilità di trovare una convergenza tra le forse politiche su questo sistema?
Credo che già ci siano nel campo politico moltissime convergenze sul tedesco. Anche Berlusconi tempo fa fece un'intervista in cui ne sosteneva i meriti, ma l'uomo è mutevole. Eppoi credo che la nascita di un terzo polo possa rendere anche il doppio turno - che sarebbe la mia preferenza - meno spaventoso per tutti. Sono entrambi sistemi che possono essere accolti da tutti, compresa la Lega.

Lei in passato è stato tra gli artefici del dialogo tra sinistra e Lega. Nel caso di una crisi di governo, si può immaginare una qualche intesa fondata sui temi del federalismo e della legge elettorale?
Io credo che ci siano riforme che vanno fatte ad ampia maggioranza. Parlo per il bene del paese. Ed auspico da parte di tutti un atteggiamento che non sia di pura convenienza di parte.

Il Pd deve privilegiare alleanze a sinistra o dialogare con i centristi di Casini?
Il Pd deve cercare di collaborare con le forze politiche che sono all'opposizione. Non stiamo facendo le alleanze per il governo o per la campagna elettorale. Il segretario del nostro partito dialoga con Vendola come dialoga con Casini. Sarebbe curioso che non dialogassimo con Vendola, con il quale governiamo la Puglia da sei anni. Ciò detto, conoscendoli entrambi, penso che Bersani sia più adatto a guidare il centrosinistra e a governare il paese.

Condivide il passaggio per le primarie?
Le primarie sono un fattore positivo di rinnovamento della politica. E se dovesse restare l'attuale legge elettorale credo che sarebbe giusto farle anche per selezionare i candidati al parlamento nazionale. Ma prima delle primarie occorre occuparsi del merito delle risposte da dare al paese e della drammatica crisi nella quale versa l'Italia. E noi dobbiamo offrire le risposte agli italiani.

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