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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2010 alle ore 19:46.
Non sono, per dirla con le parole dell'ex premier Massimo D'Alema, i "rottamatori" del Pd. Ma i 150 giovani che accolgono il segretario democratico, Pierluigi Bersani, nell'arena allestita al tempio di Adriano, non risparmiano critiche e domande pungenti al numero uno di Largo del Nazareno. E l'esordio non può che essere sull'esigenza di rinnovamento dei vertici, posta dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, dal consigliere regionale lombardo Pippo Civati e dagli under 40 del partito.
«In tutte le nostre federazioni provinciali abbiamo segretari sotto i 45 anni. Su 105, 55 hanno fra 30 e 40 anni, mentre dieci hanno meno di 30 anni. Su 6mila circoli - aggiunge Bersani - abbiamo rinnovato in 4mila casi la segreteria: 1500 sono donne, 2500 sono under 40, 1200 sono under 30».
Insomma, il segretario prova a respingere le critiche del blocco che si muove attorno a Renzi e che si ritroverà a Firenze, dal 5 al 7 novembre, per un'assemblea organizzata nella stazione di Leopolda. Lo fa davanti ai giovani del Pd, alle prese con il definitivo ritiro di Maurizio Cevenini dalla corsa a sindaco di Bologna. Nella platea ci sono sindaci under 40, come quello di Imola, ma anche tanti consiglieri e segretari di movimenti giovanili. «C'è l'urgenza - dice - di consegnare il partito ai nativi del Pd, cioè a quelli che non hanno alle spalle tradizioni più o meno gloriose di storia politica. Dobbiamo fare qualche strappo per avere più giovani e donne nei luoghi clou». Timidi segni di apertura, insomma, verso la domanda di ricambio avanzata Renzi&co. L'atmosfera è molto informale, Bersani è in tenuta casual su uno sgabello al centro della sala e ricorda tanto l'immagine e lo slogan che campeggiano sui manifesti lanciati dal Pd contro il governo Berlusconi («per giorni migliori rimbocchiamoci le maniche»).
E in maniche di camicia il segretario non risparmia stilettate. A cominciare dall'amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne. «Quale modello per fare le auto abbiamo in testa: la Cina e la Serbia o la Germania e la Francia? Ci vogliono regole universali sul lavoro altrimenti diventiamo cinesi anche noi. Dobbiamo avere in testa l'Europa». Quindi lancia un suggerimento al premier Silvio Berlusconi. «Se fossi il governo - sostiene Bersani - chiamerei la Fiat e i sindacati e cercherei di vederci chiaro perché non vorrei il gioco del cerino perché qui c'è in gioco il Paese e ognuno deve dare il suo contributo».