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Economia Lavoro

Marchionne: senza Italia faremmo meglio. Fini: paradossale, parla più da canadese che da italiano

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2010 alle ore 19:43.

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Il più zuccheroso conduttore della Tv italiana, amato dai bambini, dagli anziani e dalla sinistra tutta, alle prese con il manager più rude e diretto, affamatore di Pomigliano e di Melfi nella vulgata della sinistra stessa, area sentimentale Pd e area operaista tosta à la Fiom-Cgil. A "Che tempo che fa" Fazio Fazio ha intervistato Sergio Marchionne. E, come da consueto registro stilistico televisivo e con il garbo dell'antico ragazzo che si è diplomato al liceo Chiabrera di Savona, Fazio ha subito cercato di mettere a suo agio Marchionne: «Uno dei massimi manager mondiali…tutti lo attendono…ci chiediamo come mai abbia scelto di accettare il nostro invito…».

Il manager italo-canadese, che oltre all'ormai tradizionale maglioncino blu si è presentato in studio dimagritissimo (dopo la registrazione racconterà di essere a dieta ferrea, niente carboidrati, niente vino e niente dolci), ha riconosciuto un attestato di stima al conduttore televisivo: «Sono venuto qui, perché qui si può parlare in pace». Quindi, da parte di Fazio, subito un'altra apertura favorevole a Marchionne, genere Stachanov dei mercati globali: «Ma è vero che lavora venti ore al giorno?». Al che perfino l'amministratore della Fiat ha precisato che no: «Diciotto, sì. Mi chiede perché lo faccio? Per senso del dovere». E, dopo un breve passaggio sulla sua formazione culturale da giovane («ho studiato filosofia, perché è la filosofia che permette di porsi in relazione con l'uomo. Il resto, dalla tecnica all'industria all'economia, viene dopo»),

Marchionne ha ricordato i tratti essenziali del suo progetto: Fabbrica Italia vale 20 miliardi di investimenti, ma per renderlo operativo ci vuole la piena governabilità degli stabilimenti e dei processi industriali. Dunque, un atteggiamento diverso da parte dei sindacati, che consenta di migliorare le condizioni di contesto. Che, in Italia, non sono buone né per la Fiat, né per qualunque altro operatore. «L'Italia è al centodiciottesimo posto su centotrentanove per efficienza del lavoro ed è al quarantottesimo posto per la competitività del sistema industriale.

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«Negli ultimi dieci anni il nostro paese non ha saputo reggere il passo con gli altri. Non c'è nessuno straniero che investe qui. E gli attacchi verso la Fiat di questi giorni non aiutano a richiamare investimenti dall'estero». A questo proposito, è entrato nel merito delle ultime vicende: «Guardate che il sistema di tre pause ogni 10 minuti, anziché due da venti minuti, proposto per Pomigliano e Melfi, è già applicato a Mirafiori. Fa parte degli sforzi per ridisegnare il processo di produzione. E, poi, i dieci che si perdono sono pagati».

Quindi, giusto per ricordare quali sono i termini puramente bilancistici della questione, Marchionne ha sottolineato una cosa in sé e per sé molto spiacevole: «Quest'anno abbiamo annunciato che faremo oltre 2 miliardi di utile operativo. Guardate che nemmeno un euro è fatto in Italia. Io sto dicendo che, se dovessi togliere la parte italiana, la Fiat farebbe meglio». Per chiarire bene i termini della questione: «Non posso gestire una divisione in perdita per sempre». Finora, nessuna scelta letale per il nostro paese è stata presa: nel senso che, andando contro i consigli dei suoi collaboratori, Marchionne ha deciso di investire su Pomigliano, riportando in Italia la produzione di un modello, la nuova Panda, la cui produzione era prevista in Polonia. Una scelta di responsabilità sociale: «Pensate alla camorra e al disastro di una chiusura».

Anche se non si può chiedere a un gruppo privato di compiere sempre e soltanto scelte antieconomiche. A Fazio, che con un tono da amarcord ricordava come quando lui era piccolo tutte le macchine in circolazione fossero Fiat, ha detto di rifiutare l'equazione Fiat-azienda semistatale: il passato è archiviato, i rapporti fra mano pubblica e aziende automobilistiche sono sempre esistiti (si vedano i soldi di Obama per Chrysler e della Bei per lo stabilimento di Fiat in Serbia), l'importante è che i debiti si ripaghino e che si abbia un rapporto equilibrato con gli stati. A questo proposito ha aggiunto: «Qualsiasi debito verso lo stato italiano è stato ripagato, non voglio ricevere un grazie, ma non accetto che mi si dica che chiedo assistenza finanziaria. Gli incentivi? Vanno a vantaggio del consumatore. E, poi, sette auto su dieci sono straniere. Dunque hanno riguardato tutti i produttori».

Poi, dopo avere scherzato sul fatto che nel nostro paese la malattia della politica contagia molti imprenditori («io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico: produco auto, camion e trattori»), è entrato nel merito dell'Italia come piattaforma produttiva: «La proposta che abbiamo fatto è dare alla rete industriale di Fiat la capacità di competere con i paesi vicini a noi. In cambio io sono disposto a portare il salario dei dipendenti al livello degli altri. Il salario cambierà se cambierà il sistema di produzione in Italia. Può darsi che sia un cambiamento difficile da sopportare, ma vogliamo migliorare i 1.200 euro di stipendio dei nostri dipendenti». A Pomigliano, per esempio, l'aumento lordo del salario è intorno ai 3.500 euro, con un orario settimanale che, inclusi gli straordinari, è pari a 34 ore. In questo, il rapporto con il sindacato italiano è un problema: «Serve un progetto condiviso. Non posso accettare che tre persone mi blocchino un intero stabilimento. Questa è anarchia, non è democrazia».

Quindi, ha aggiunto: «Oltre la metà dei nostri dipendenti non è iscritta a un sindacato. Solo il 12,5% dei dipendenti è iscritto alla Fiom». Specificando poi che «a Pomigliano abbiamo cercato di assegnare la responsabilità della gestione di uno stabilimento ai sindacati, per gestire insieme a loro le anomalie. Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno preciso dell'anno, vuol dire che c'è una anomalia». Fazio, con quell'aria studiata da passante spaesato e un po' timido, gli ha chiesto quale sia questo giorno. E Marchionne ha avuto buon gioco a rispondere: «Dipende da che partita di calcio c'è».

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