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Economia Lavoro

Marchionne divide la politica

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 06:36.

C'è il no comment da Pechino del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E c'è la reazione piccata del presidente della Camera, nonché transfuga del berlusconismo, Gianfranco Fini: «Domenica, alla trasmissione di Fabio Fazio, Sergio Marchionne ha dimostrato di essere più canadese che italiano». Ma, soprattutto, della partecipazione dell'amministratore delegato della Fiat a «Che tempo che fa», a Fini non è andato giù il riferimento al peso negativo che il mercato italiano ha sul risultato operativo del gruppo di Torino.

Così il suo affondo è stato permeato da un lessico da "campioni nazionali" e da neostatalismo nazionalista: «È paradossale che, a parlare così, sia proprio l'ad del Lingotto. La Fiat è ancora un grande colosso perché è stato il contribuente italiano a garantirlo. Non è affondata grazie allo Stato». Una posizione che potrebbe aprire, all'interno del neonato partito di Futuro e libertà, una questione di rapporti fra la componente più statalista e quella più liberista.

Dal fronte del governo (il 4 novembre incontro di Marchionne con il neoministro dell'Industria Paolo Romani) è arrivato ieri il giudizio positivo del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta: «Quando un pezzo di una multinazionale non dà profitti, non è che si chiude quel pezzo. Si cercano modi per renderlo profittevole. L'importante è avere una strategia». E, poi, Brunetta ha aggiunto: «Marchionne è così bravo e serio che le cose dette non siano altro che rivolte a se stesso e al management Fiat proprio per spronarsi». Sandro Bondi, ministro della Cultura, si è detto vicino a Marchionne: «Ignorare o peggio polemizzare con Marchionne significa far finta che i problemi non ci siano e che tutto possa continuare come nel passato. Se l'Italia avesse ancora una classe dirigente nazionale degna di questo nome, si interrogherebbe a fondo sulle sue affermazioni».

Invece, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha preferito soffermarsi sulla ragione tattica di una «una denuncia ruvida, ma non tanto condivisibile». Per Sacconi, che ha contestato le premesse logiche del discorso di Marchionne (l'Italia al centodiciottesimo posto nella classifica della competitività internazionale), il manager del Lingotto ha infatti «in modo tattico» mandato un messaggio alle parti sociali «per chiedere agli attori sociali condizioni di maggiore produttività e competitività». Di tono ancora più critico la Lega Nord, che ha sfoderato la sua natura di partito dei piccoli produttori e delle partite Iva che solletica gli istinti anti Fiat. «Le parole di Marchionne sarebbero anche state giuste al 99%, a patto però che non le avesse dette lui – ha commentato infatti Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione normativa – Marchionne ha la memoria corta sugli aiuti di Stato. La verità è che gli italiani, la Fiat, se la sono già comprata due volte. Si scordino altri incentivi».

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Tags Correlati: Cesare Damiano | Cina | Confindustria | Fabio Fazio | Fiat | Fiom | Imprese | Italia | Leader | Lega | Maurizio Sacconi | Paolo Romani | Pubblica Amministrazione | Roberto Calderoli | Sandro Bondi | Sergio Marchionne | Udc

 

Improntata al realismo, è la valutazione del leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini: «Marchionne non va demonizzato. Anche se la Fiat ha ricevuto molti contributi dallo Stato, ha cento ragioni dalla sua parte, quando ricorda come gli stranieri non investano da noi. Dice cose sacrosante. Bisogna rendersi conto della realtà, altrimenti la Fiat chiude le saracinesche delle fabbriche e va in Serbia». Ma non è automatico che le dichiarazioni di Marchionne vadano nel senso di una fuga dall'Italia: anzi, per Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, «mi sembra che l'ad voglia continuare a investire in Italia per tornare ai livelli di competitività di una volta».

Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha confermato la validità del tema competitività. Anche se ha aggiunto: «Se io fossi al governo, chiamerei la Fiat e i sindacati, perché vorrei vederci chiaro, per evitare che qualcuno alla fine resti con il cerino acceso in mano». E, poi, secondo la critica implicita che Marchionne forzi le regole sul diritto del lavoro, ha detto: «Quale modello per fare le auto abbiamo in testa? La Cina e la Serbia o la Germania e la Francia? Ci vogliono regole universali sul lavoro, altrimenti diventiamo cinesi anche noi. Dobbiamo avere in testa l'Europa».

L'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, che nel 1996 con Susanna Camusso fu fra i dirigenti moderati cacciati dalla Fiom di Claudio Sabattini, ha usato parole da "Pci responsabile": «I risultati conseguiti dalla Fiat nel mondo sono il frutto di una tecnologia che è l'avanguardia del made in Italy. Quella tecnologia che il governo farebbe bene a sostenere con incentivi. Sarebbe necessario che il governo passasse a scelte di investimento e di politica industriale vere».
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