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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2010 alle ore 18:03.
La vicenda che più impegna in questi giorni i mafiologi e la magistratura è un complesso gioco di specchi e di rifrazioni, un labirinto in cui gli stessi personaggi vestono ora i panni degli imputati, ora degli accusatori, ora dei pentiti. Da alcuni sono ritenuti credibili e affidabili, da altri invece sono considerati degli spregiudicati fornitori di spifferi e dichiarazioni che contribuiscono soltanto a ingarbugliare ulteriormente le indagini e a confondere le poche verità giudiziarie di cui si è in possesso.
Il contesto in cui si iscrivono le indagini e le affermazioni di Gaspare Spatuzza (il pentito che si è autoaccusato di aver confezionato l'ordigno che nel 1992 uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta in via D'Amelio a Palermo) e di Massimo Ciancimino (figlio di Vito, l'ex sindaco di Palermo colluso con Cosa Nostra e morto nel 2002) è un'ipotetica trattativa tra la mafia e lo Stato, o perlomeno pezzi dello Stato, a cui avrebbero partecipato, a seconda delle ricostruzioni, porzioni dei servizi segreti oppure addirittura anche ministri.
L'affresco rimane incorniciato in un grande "forse" che consegna ogni verbo al modo condizionale. La presunta trattativa tra le istituzioni e i vertici di Cosa Nostra si sarebbe intrecciata nella sanguinaria alba siciliana degli anni Novanta, prima dopo e durante i due attentati più clamorosi, quello che uccise Giovanni Falcone sull'autostrada tra Palermo e Capaci e quello che costò la vita al suo collega e amico Borsellino.
Da ultimo Spatuzza e Ciancimino jr. hanno aggiunto corpose pennellate al già fosco quadro. Spatuzza sostiene che nel garage in cui fu farcita di esplosivo la Fiat 126 usata come autobomba in via D'Amelio fosse presente anche un uomo non affiliato alla mafia. Si sarebbe trattato di un esponente dei servizi segreti. Spatuzza che già aveva riscontrato somiglianze tra l'uomo visto una sola volta diciotto anni fa e una fotografia che gli era stata mostrata dagli inquirenti, ieri a Caltanissetta, nel corso di un confronto all'americana, avrebbe ulteriormente individuato la fisionomia dell'"estraneo" che assistette al confezionamento dell'autobomba.
L'uomo sarebbe secondo Spatuzza – che però pare non abbia assicurato di essere certo al cento per cento – Lorenzo Narracci, allora in forze al Sisde e ora funzionario dell'Aisi (l'Agenzia informazioni e sicurezza interna). Sempre ieri Narracci ha avuto un confronto con Massimo Ciancimino. Il funzionario dei servizi nega di aver mai incontrato il rampollo dell'ex sindaco di Palermo. Mentre Ciancimino jr. ha confermato di aver visto Narracci in casa di suo padre Vito. Tra rivelazioni e indagini la situazione è complicata. Gli uomini delle istituzioni indagati per aver trattato con i boss e addirittura per aver assistito alla preparazione di uno degli undici settembre siciliani, la strage di via D'Amelio, sono in bilico tra la qualifica di eroi dell'Antimafia e quella di traditori dello Stato, due ruoli non propriamente confinanti.