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Ahmadinejad imita il ticket Putin-Medvedev e prepara la staffetta con il consuocero per le elezioni del 2013

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 13:27.

A lanciare il sasso nello stagno è stato un articolo di Barbara Slavin, su Foreign Policy, in cui ipotizza che il presidente iraniano Mahamoud Ahmadinejad stia cercando di imitare la staffetta russa Putin-Medvedev per restare al potere oltre i limiti costituzionali.
I rumors provenienti da Teheran parlano di una politica in famiglia a Teheran, di un presidente (sempre più in contrasto con la Guida suprema Ali Khamenei) che si starebbe preparando a lanciare nell'agone politico Esfandiar Rahim-Mashai, suo consuocero, come candidato alle presidenziali per il 2013 in modo che lo stesso Ahmadinehad possa tentare il terzo mandato nel 2017. La costituzione iraniana vieta più di due mandati presidenziali consecutivi.

La mossa darebbe la possibilità ad Ahmadinejad di mantenere la salda presa sul potere a Teheran conquistato a sopresa nel 2005 attraverso un suo familiare acquisito (Mashai è il padre del marito della figlia di Ahmadinejad) nonostante l'opposizione dei riformisti e dello stesso Ali Khamenei.

Ma chi è veramente Mashai? Il personaggio è molto controverso. Ha pure applaudito, durante lo spettacolo, in Turchia, di una danza del ventre assai poco compatibile con gli austeri dettami islamici imposti per legge in patria. Ha organizzato una cerimonia in Iran in cui alcune donne hanno preso in mano il Corano cantando. Ha chiamato il popolo ebraico «gente amica» che può venire in qualsiasi momento a visitare l'Iran. Esfandiar Rahim-Mashai, capo di gabinetto di Mahmoud Ahmadinejad, non si è certo risparmiato in esternazioni e atteggiamenti molto controversi che hanno suscitato ora sdegno, ora condanna e perfino stupore in uno schieramento trasversale dell'elite politica della repubblica islamica.

Classe 1960, da sempre parte della misteriosa cerchia ristretta dei consiglieri e alleati personali fidatissimi del presidente iraniano, Rahim-Mashai non ha la folta barba d'ordinanza né l'austera faccia pubblica che solitamente contraddistingue i funzionari di alto livello del sistema teocratico di Teheran, e da quasi mezzo decennio rappresenta meglio di chiunque altro quella miscela potenzialmente assai esplosiva tra opportunismo e populismo che ha sinora segnato il sentiero politico di Ahmadinejad, il presidente legato a doppio filo con i pasdaran e la tecnocrazia militare che ormai governa saldamente il paese e vive con sempre maggior fastidio l'ingerenza dei mullah nella vita politica e sociale.

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La sua parabola ha inizio nel 2005. Poco dopo la sua vittoria-choc contro l'ex presidente Hashemi Rafsanjani nelle presidenziali di quell'anno, Ahmadinejad nomina l'allora sconosciuto Mashai alla vicepresidenza con delega al turismo e alle attività culturali. L'operato del consuocero del presidente passa relativamente inosservato sino al 2007, quando Mashai si reca a una fiera internazionale del turismo in Turchia. La cerimonia conclusiva dell'evento prevedeva una danza tipica eseguita da donne vestite in maniera assai poco consona ai dettami islamici.

Un filmato successivamente postato su Youtube e distribuito tra molte proteste in Iran mostra un Mashai sorridente in prima fila mentre trasgredisce alla regola che impone ai funzionari e ai diplomatici iraniani di assentarsi in circostanze simili. Come se non bastasse, in un'analoga cerimonia da lui organizzata nel 2008, un gruppo di donne, questa volta velate, giunge sul podio, con grande scandalo dei tradizionalisti, suonando tamburelli e recitando versetti del Corano. La pazienza dell'ala puritana del regime raggiunge il limite nel luglio dello stesso anno. All'apice di una delle tornate più dure della guerra di parole tra Iran e Israele, Mashai si esibisce, durante una conferenza di promozione del turismo a Teheran, in una singolare e inedita apertura al popolo dello stato ebraico sostenendo che quest'ultimo, alla pari di quello americano e di ogni altro al mondo, è considerato "amico" e sempre benvenuto nella repubblica islamica.

Le dichiarazioni di Mashai sollevano un autentico vespaio. In un editoriale dai toni particolarmente accesi, il quotidiano Kayhan, considerato da molti osservatori come il portavoce ufficioso della Guida suprema Ali Khamenei, condanna il fatto che Ahmadinejad, solitamente «assai rapido nel cambiare ministri» mostri una fiducia inalterata nei confronti del consuocero. Kayhan ricorda nell'occasione al presidente che sarebbe meglio evitare di «spararsi sulle gambe» e gli intima di esautorare Mashai prima di ulteriori spiacevoli incidenti. Richieste pressanti per le dimissioni di Mashai arrivarono pure dai pasdaran, da diversi ayatollah di spicco di Qom e dal presidente del parlamento Ali Larijani.

Ma Ahmadinejad è rimasto fedele, allora e adesso, al suo controverso congiunto, che ha pure intrapreso l'attività di rappresentante personale del presidente presso le facoltose e influenti comunità iraniane all'estero. Solitamente seguito da folte delegazioni composte da membri di ministeri e istituzioni, Mashai si presenta in città come Londra, Francoforte o Ginevra per convincere i numerosi e abbienti iraniani in esilio, una buona parte dei quali abbandonò il paese allo scoccare della Rivoluzione, nel 1979, a riabbracciare la madrepatria e a investirvi parte delle proprie, talvolta impressionanti, ricchezze.

Nel luglio 2009, nel mezzo della profonda crisi scaturita dalle elezioni del mese prima, il presidente nomina Mashai allo scranno di primo vice-presidente, che secondo la Costituzione del 1989 è equivalente alla posizione, allora abolita, di primo ministro. La maggioranza conservatrice del parlamento vicina a Larijani reagisce infuriata e inscena clamorose manifestazione pubbliche di protesta. La matassa viene sbrogliata da Khamenei in persona, che si ritrova costretto a emettere un decreto in cui viene imposto ad Ahmadinejad di rimuovere Mashai dall'incarico. Non certo disposto a perdere il consigliere fidato, il presidente lo nomina capo di gabinetto, mantenendolo così all'interno della compagine governativa tra mille polemiche. Nel luglio di quest'anno, Mashai entra nuovamente nell'occhio del ciclone.

Durante una conferenza degli iraniani all'estero organizzata in pompa magna a Teheran un mese fa, Mashai ha solennemente dichiarato che l'identità islamica del paese mediorientale è ormai in declino e verrà presto sostituita con quella "nazionale". I detrattori di sempre lo hanno questa volta accusato di mancata fedeltà al principio khomeinista del velayat-e faqih, o "tutela del giurisconsulto" e quindi di "lesa maestà" nei confronti di Khamenei. Ma l'imprevedibile Ahmadinejad ha nuovamente "premiato" il suo scomodo consuocero con la promozione a consigliere per la politica estera mediorientale, una mossa che avrebbe causato un tentativo di dimissioni, successivamente smentite, da parte del ministro degli esteri Manouchehr Mottaki.

Il futuro è movimentato quanto incerto per il funambolico braccio destro di Ahmadinejad. Alcuni osservatori politici hanno scorto in Mashai un delfino che il capo di stato starebbe preparando per un avvicendamento nel 2013, quando scadrà il secondo mandato consecutivo – l'ultimo consentito dalla costituzione iraniana, uno strano ircocervo di principi – del presidente iraniano. Conscio del vuoto lasciato dall'estromissione dalla scena politica dei popolari riformisti, Mashai si starebbe quindi costruendo un bacino elettorale tutto suo, autonomo all'interno di qual vasto segmento della popolazione nettamente opposta al conservatorismo religioso e sociale della corrente facente capo ai fratelli Larijani, ormai in aperto conflitto politico con Ahmadinejad e la sua compagine.

È quindi assai probabile che l'istrionico Mashai farà parlare ancora di sé nel futuro prossimo. Come non è dato sapere, ma un invito della nostra diplomazia magari a Roma in occasione di qualche convegno di questo astro nascente della politica iraniana potrebbe aiutare a conoscere meglio questo personaggio e le sue aspettative. Tenere aperti canali diplomatici è sempre utile anche quando si usa il bastone della sanzioni.

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