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Il magistrato di turno: non ho mai autorizzato il rilascio di Ruby

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 15:33.

Non solo la pm di turno non diede l'autorizzazione ad affidare Ruby alla consigliere regionale Pdl Nicole Minetti, ma nessuno gliela chiese. Dalle fonti giudiziarie emergono oggi nuovi particolari, che rendono ancora più intricata la ricostruzione della notte nella questura milanese vissuta dalla minorenne marocchina tra il 27 e il 28 maggio scorso.

Le versioni finora illustrate concordavano sul fatto che la giovane, priva di documenti, avrebbe dovuto essere portata in una comunità di accoglienza. A cambiare le carte intervenne la telefonata del premier da Parigi (seguita, come si è appreso oggi, da una successiva chiamata "di controllo" da parte del caposcorta), che sostenne la parentela di Ruby con il presidente egiziano Hosni Mubarak e chiese di consegnarla alla Minetti.

Il pm di Turno, Annamaria Fiorillo, secondo i nuovi particolari, non ha mai dato l'autorizzazione al rilascio di Ruby. In effetti a quanto è emerso, venne dapprima cercata per la giovane marocchina una sistemazione presso una comunità di accoglienza della zona, ma quella sera non fu possibile trovare un posto disponibile. In questi casi, le procedure prevedono che il fermato sia trattenuto presso la Questura, scelta che la Fiorillo confermò anche dopo aver appreso della telefonata in cui si sosteneva la parentela di Ruby con Mubarak. Le istruzioni date quella sera dalla pm si fermano lì, anche perché sembra che nessuno chiese al magistrato l'autorizzazione al rilascio della ragazza. Autorizzazione che non sarebbe potuta scattare nemmeno se nel frattempo fossero giunti in Questura i documenti, cosa che non è avvenuta.

Dal momento che la versione del magistrato emerge dal rapporto di polizia, resta allora da comprendere chi, e in virtù di quale potere, abbia lasciato andare la ragazza assieme alla consigliere regionale Nicole Minetti. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha ribadito che «sono state seguite le procedure», ma su tutti questi elementi si concentreranno nei prossimi giorni le indagini della magistratura. Tanto più che, come è stato confermato, la Minetti non ha condotto Ruby a casa con sé, ma l'ha lasciata nelle mani di una brasiliana con cui la ragazza pochi giorni dopo ha avuto un violento alterco, che ha richiesto un nuovo intervento della polizia.

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I contatti di Ruby con le forze di sicurezza, del resto, non si fermano qui. A settembre è la volta della polizia di Genova, che identifica Ruby in piazza Caricamento in compagnia di un uomo di 44 anni, residente in Valbisagno. L'uomo ha giustificato la situazione dicendo di aver conosciuto la ragazza, credendola maggiorenne, in una discoteca di Nervi (l'Albikokka, per la precisione), e di averla anche accompagnata negli studi di Milano 2 dove la giovane avrebbe ricevuto 5mila euro in contanti dal segretario di Lele Mora. Busta che in effetti era nella borsa della ragazzina.

«Un'incredibile strumentalizzazione di una banale telefonata». Nelle parole di Niccolò Ghedini, parlamentare Pdl e avvocato di Berlusconi, l'intreccio del Rudy-gate assume invece una dimensione molto più modesta, quella di «una vicenda assolutamente priva di ogni connotazione negativa. Quando saranno resi noti gli atti documentali e testimoniali - promette Ghedini - sarà agevole comprendere la risibilità di alcuni assunti giornalistici». La sicurezza nell'approccio non impedisce però a Ghedini di temere qualche strascico giudiziario sulla vicenda: «Sarebbe gravissimo - conclude l'avvocato -, anche se contro il presidente Berlusconi si è assistito nel corso degli anni alle più assurde fantasie».

Sul versante politico, invece, gli strascichi sono certi e ad ampio raggio. Al di là delle scontate prese di posizione di Di Pietro («basta con il governo del bunga bunga») e Pd, che chiedono al premier di non rimanere a Palazzo Chigi «un minuto di più», è da registrare anche una durezza inedita in area centrista. «Le dimissioni del governo a questo punto sono inevitabili - chiarisce in una nota il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa -, perché bisogna al più presto uscire da questa melma. Dal 1994 a oggi i governi guidati da Silvio Berlusconi mai erano caduti così in basso: minimizzare non ci sembra intelligente, senz'altro non è utile all'Italia e agli italiani». Concorda nei toni anche il presidente della Camera Gianfranco Fini, che parlando domenica mattina ai circoli romani del Pdl inizialmente se la cava con un «speriamo che non sia vero», ma aggiunge subito che la vicenda rende «sconfortante l'immagine dell'Italia all'estero». A margine del convegno, poi, Fini avrebbe aggiunto che «se quella telefonata c'è stata, Berlusconi deve fare un passo indietro».

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