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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2010 alle ore 08:25.
Le urne elettorali sono chiuse da poco. Qualche corsa deve ancora essere assegnata, ma il vento del cambiamento, della protesta, che si è sentito soffiare un po' dappertutto in America nella notte di martedì, con il trionfo dei repubblicani alla Camera, non ha per ora modificato gli atteggiamenti conflittuali nella capitale. A parole sono tutti aperti al dialogo. Lo hanno ribadito John Boehner, il prossimo presidente della Camera, Mitch McConnel, il leader dei repubblicani al Senato e Barack Obama. Peccato che ciascuno sia pronto a farlo partendo solo dal suo punto di vista. E quello dei repubblicani è il punto di vista dei vincitori.
Boenher e McConnel erano già rientrati a Washington all'alba di ieri per prendere immediato possesso dell'agenda politica. E in termini pratici la loro non è stata una vittoria magnanima. Fra le altre cose hanno detto che vogliono cancellare la riforma sanitaria che Obama è riuscito a passare fra mille difficoltà appena pochi mesi fa. Vogliono tagliare la spesa pubblica e cambiare la filosofia interventista dello stato: «C'è stato un cambiamento di rotta in queste elezioni – ha detto Boehner - mi chiedo se il presidente rispetterà il volere del popolo. Se lo farà saremo pronti a lavorare con lui. Ma il messaggio è chiaro. Si chiede una riduzione del ruolo del governo, un recupero del rapporto di fiducia con la gente, un aiuto per le piccole medie imprese. Un ritorno di quei valori insomma che rendono l'America America». Un tono non propriamente amichevole.
Obama, apparso in tutta la regalità della East Room addobbata per le grandi occasioni, ha ammesso che «la sconfitta fa male, è una lezione di umiltà». Ma poi ha aggiunto che «l'esito del voto dipende dal fatto che il tasso di disoccupazione è rimasto elevato, se fosse stato diciamo al 5% nessuno avrebbe protestato». Ha sbagliato qualcosa? «Non proprio, forse qualche errore, ma qui stiamo parlando di una reazione ritardata a certe misure inevitabili nel momento in cui l'economia era in crollo verticale».
Il presidente si era presentato ai giornalisti ieri mattina per discutere di futuro, di negoziati con la nuova maggioranza repubblicana alla Camera. A vederlo si capiva che aveva sofferto davvero: volto teso, abbacchiato, non un sorriso, mascella dura, risposte elusive. Ma non riunciatarie. Il piglio dell'orgoglio intellettuale, la rivendicazione di aver fatto comunque le cose giuste sono rimaste anche in una sconfitta, che in teoria dovrebbe ridimensionare l'agenda politica della Casa Bianca. «Non è vero che la nostra strategia economica non ha funzionato – ha detto Obama – abbiamo stabilizzato la crisi, è vero l'occupazione non è ancora arrivata, ma è solo questione di tempo».